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Confucio ed i Filosofi Confuciani

Originario dello Stato di Lu, parte sud-orientale dell’attuale provincia dello Shandong, Confucio nacque nel 551 a.C. dalla famiglia Kong e gli venne dato il nome Qiu perché, come avverte lo storico Sima Qian, "al momento della nascita aveva una protuberanza sulla cima del cranio, perciò derivò da questo il suo nome personale che fu Qiu (letteralmente collina)". Il nome italiano Confucio deriva da Confutius (o Confucius), latinizzazione dell’espressione Kong Fuzi (letteralmente Maestro Kong) ad opera dei primi missionari gesuiti in Cina.

Confucio visse in un’epoca in cui la Cina era divisa in una decina di stati rivali. La famiglia di aristocratici dello Stato di Song da cui proveniva era da molto tempo caduta in disgrazia, ma la morte di suo padre, avvenuta quando aveva solo 3 anni, precipitò la sorte della casata che si impoverì di giorno in giorno. Il giovane Confucio era tuttavia assiduo negli studi e divenne un piccolo funzionario, incaricato della gestione dei magazzini e del controllo dell’allevamento del bestiame bovino ed ovino. Nello stesso tempo si occupava dei matrimoni e dei funerali delle famiglie ricche, un’occupazione che gli diede l’occasione di vedere da vicino la miseria del popolo, ma anche, certamente, gli permise di familiarizzare con i riti dell’alta società. Avendo acquisito molte conoscenze sulla cultura antica, divenne un grande erudito. Per un breve periodo fu anche un giudice competente nel tribunali dello Stato di Lu.

Confucio provava una viva ammirazione per il Duca Zhou, uomo politico della dinastia dei Zhou Occidentali (XI sec.-771 a.C.), di cui egli desiderava applicare i principi politici nel suo paese, al fine di far rinascere l’età d’oro che aveva conosciuto questa dinastia. Ma nella società in piena mutazione quale era quella di Confucio, le contraddizioni tra governanti e governati erano arrivate a un punto tale di esasperazione che la sua azione restò vana. Come molti altri filosofi dell’epoca, egli viaggiò di Stato in Stato, conducendo per 13 anni una vita errante e offrendo i suoi servigi ai principi feudali. Ma il suo entusiasmo non era né condiviso né compreso tanto dai principi quanto dal popolo, divenendo spesso oggetto di calunnie e vessazioni.

La soluzione che egli proponeva era semplice: per salvare la società bisogna salvare l’uomo. Si poneva come educatore: bisogna educare l’uomo, tanto colui che governa quanto colui che è governato. Disperando nella causa, ritornò nello stato di Lu; aveva allora 68 anni e da allora si consacrò interamente all’insegnamento. Organizzò una nuova scuola in cui i suoi allievi erano i suoi discepoli. La scuola, fino ad allora diretta dallo Stato, conobbe dei cambiamenti: Confucio ruppe per la prima volta il monopolio dell’insegnamento ufficiale, organizzando una scuola creativa e progressista con sei corsi: politica, musica, calligrafia, tiro con l’arco, guida del carro e matematica.

In quanto educatore, Confucio voleva fare dei suoi discepoli degli uomini completi utili allo Stato. Insegnò in tutto a 3000 allievi, di cui 72 divennero dei "saggi". Nello stesso tempo, secondo quanto gli attribuisce la tradizione, corresse il Classico delle Odi (Shi jing) e il Classico dei Documenti (Shu jing), rivide le Memorie sui Riti (Liji) e il Classico della Musica (Yue jing), aggiunse alcune sezioni al Classico della Mutazione (Yi jing). Apportò un contributo indelebile alla diffusione, riorganizzazione e conservazione del patrimonio della Cina antica. Morì nel 479 a.C. all’età di 73 anni.

Molti dei suoi discepoli domandavano a Confucio del sovrannaturale. Egli rispondeva differentemente a seconda delle circostanze e del livello dei suoi allievi. In tutte le sue risposte, Confucio evitava ogni investigazione metafisica e conduceva sempre i suoi allievi verso la pratica. Confucio era umanista e realista. Il giorno in cui il suo discepolo Zilu lo interrogò sul modo di onorare gli spiriti, Confucio rispose: "Non sai ancora come servire i vivi, come vuoi saper servire gli spiriti?". Se Confucio evita i problemi del sovrannaturale, si interroga tuttavia sul mistero dell’Universo. Osservava il cambiamento delle Quattro stagioni, ma non ne conosceva la causa. Secondo lui, era una forza misteriosa che dirigeva il mondo. Questa forza era la volontà del Cielo, la "legge naturale". Diceva: "il Cielo non parla, ma dispone del cambiamento delle Quattro stagioni e decide da maestro della crescita della natura". Secondo lui, il Cielo aveva una volontà propria, era personificato.

Confucio, non solo credeva alla "legge naturale", ma la temeva anche. I suoi celebri "Tre Timori" dicevano che bisognava temere il Cielo, il Signore, e la parola del Saggio. La volontà del Cielo, dell’autorità suprema e del Saggio era inviolabile. Esagerava il mistero del Cielo e affermava l’impossibilità di arrivare a comprenderlo senza una grande esperienza. "Non si comprende il Cielo che a partire dai 50 anni" diceva. Per Confucio l’essenza dell’uomo è la "virtù". Non la virtù imposta, esteriore, bensì la virtù interiore, quella che è nascosta in noi, forza che dobbiamo sviluppare. Confucio chiama questa qualità il ren. Colui che possiede il ren cerca di perfezionarsi e aiuta gli altri a diventare migliori.

Il termine ren è stato tradotto in differenti modi: benevolenza, amore, altruismo, bontà, umanità, virtù perfetta. La differenza nelle traduzioni viene dal fatto che Confucio ha applicato questo termine in sensi molto differenti tra loro. Il ren può essere positivo o negativo, ad esempio quando si dice: "Non fare agli altri quello che non vuoi venga fatto a te" è il ren negativo, che Confucio chiama shu, l’aspetto positivo del ren, il zhong, si traduce così, "Fai agli altri ciò che vorresti venga fatto a te". Per Confucio il principe ideale è colui che governa attraverso la sua virtù. Un giorno in cui il Signore Ji Kang lo interrogò sulla necessità della pena di morte, Confucio rispose: "Per governare il popolo, avete bisogno della pena di morte? Siate voi stesso virtuoso e il vostro popolo sarà virtuoso". Confucio raccomandava la pietà filiale. Ai giorni nostri questo principio ha rivestito un nuovo significato: più che l’obbedienza cieca ai maggiori d’età è un principio di rispetto delle persone anziane.

La saggezza di Confucio si ritrova sovente in piccole massime quali "Imparare senza riflettere o riflettere senza imparare non vi porta alla buona comprensione". Imparare e riflettere sono due principi essenziali della sua filosofia. "Imparare senza mai soddisfarsi, insegnare senza mai stancarsi" è il suo motto. "Se si incontra un saggio bisogna seguire il suo esempio; se costui non è un saggio, bisogna fare un giro su se stessi", questa massima vuol dire che si deve prendere l’altro, che sia saggio oppure no, come uno specchio per esaminarsi, al fine di trovare il buon esempio e trarne la lezione.

È tuttavia sul piano dell’insegnamento che Confucio ha portato il più grande contributo alla storia della cultura cinese. È per questo motivo che venne qualificato "modello eterno degli insegnanti" e "saggio" nella società feudale. Fu il primo a preconizzare "l’insegnamento come mezzo per impedire la divisione degli uomini in buoni e cattivi", una proposizione che abolì il monopolio dell’insegnamento da parte dell’aristocrazia e giocò un ruolo importante nell’eredità, la diffusione e lo sviluppo delle idee nell’antichità. L’insegnamento è sempre al servizio di uno scopo politico preciso e non fa eccezione in Confucio, il cui ideale si riassume con: "Ai brillanti letterati le alte cariche". Per la società antica questa è un’idea ragionevole e progressista. Secondo lui, il potere deve essere nelle mani degli uomini virtuosi e competenti e non dei membri della nobiltà che "non sanno far altro che bere, mangiare e godere". Tuttavia, Confucio si oppone al fatto che i suoi allievi partecipino alla produzione agricola, poiché pensa che l’insegnamento ha come scopo primario mantenere e perfezionare l’ordine sociale e sopire le contraddizioni tra governati e governanti. È per questo motivo che gli allievi devono imparare i metodi di governo.

Estremamente coscienzioso e serio negli studi, Confucio diceva: "Quando io so, dico che so, quando io non so, dico che non so, ecco ciò che si chiama sapere", un concetto molto vicino a quello di Socrate, ed anche: "Quando il nome non è giusto, il discorso non è conforme; quando il discorso non è conforme, gli affari non possono essere condotti bene", una delle frasi chiave del sistema di pensiero del Maestro. Particolarmente prudente, sosteneva ancora: "Chi ascolta molto e misura le sue parole commette meno errori; chi vede molto e agisce prudentemente ha meno rimorsi". Per ciò che concerne il metodo di riflessione, metteva in guardia contro la soggettività, l’arbitrario, la cocciutaggine e l’attitudine presuntuosa.

Per ciò che concerne la pratica dell’insegnamento, consigliava di adattare il proprio insegnamento a ciascun individuo e di ragionare per analogia: "Non istruite un allievo che quando questi abbia veramente voglia di conoscere ma è incapace di conoscere senza l’aiuto altrui, non illuminate un allievo che quando questi brucia di voglia di esprimersi ma non riesce a dire ciò che ha nel cuore". Tutti questi precetti sono conformi in una certa misura alle regole universali dell’insegnamento. Raccogliere l’eredità del passato per aprire il cammino del futuro, è un’altra caratteristica importante del pensiero di Confucio. Non preconizza di ripetere semplicemente il passato, ma di ispirarsi a ciò che è buono nel passato per impiegarlo nel presente. Egli adotta lo stesso comportamento a proposito dell’eredità del patrimonio culturale. Se Confucio dà grande importante alle esperienze storiche, non è affatto per ripetere ciò che si sa da molto tempo (wengu), ma per imparare il nuovo (zhixin). Diceva: "Non sono nato saggio, ma è con gli studi che sono diventato saggio".

Confucio era positivamente avido di progresso, triste a causa dell’infelicità del Paese e del popolo, ottimista e distaccato da tutto. In tutta la sua vita non ha mai passato un solo giorno senza studiare. Di lui si diceva che amasse talmente lo studio da dimenticarsi sovente di mangiare; che provava un tale piacere a studiare da dimenticare le preoccupazioni della vita e anche la sua stessa veneranda età. Diceva: "Lavoro con accanimento al punto di dimenticar di mangiare, sono felice al punto di dimenticare le mie preoccupazioni e non mi sento invecchiare". In realtà, in vita, la sorte di quest’uomo che aveva un così grande ideale, non fu per niente invidiabile. Le autorità non lo apprezzarono mai per il suo vero valore. Dopo la sua morte, la Cina entra nell’epoca detta delle "Cento Scuole rivali", sino la momento in cui, per servire la sua politica di unificazione nazionale, l’imperatore Liu Che, della dinastia Han occidentale (206 - 25 a.C.) accettò la proposta di Dong Zhongshu (circa 129 - circa 104 a.C.), specialista dei libri canonici, di mettere fine alla fioritura delle correnti di pensiero per tenere soltanto la Scuola confuciana. Da allora, tutti gli eruditi che seguiranno, sia "conservatori" che "riformisti", faranno riferimento a Confucio, in funzione delle necessità delle loro differenti epoche, per ciò che avranno bisogno per sviluppare il loro confucianesimo e farne un’ideologia al servizio del loro potere politico.

Per commemorare Confucio, si sono costruiti ai quattro angoli della Cina dei templi di cui uno che si situa nella sua città natale (Qufu, nello Shandong) e che riceve tutti i giorni folle di visitatori. Nel 1985, nel grande tempio di Confucio a Beijing, è stata fondata l’Associazione per lo studio del confucianesimo. Dopo la morte di Confucio e con la definitiva disgregazione dello Stato Chou, i discepoli si divisero in due gruppi, preoccupati di trovare una definizione etica e normativa della morale che fosse valida in sé e per sé, e anche per rispondere alle forti critiche del filosofo progressista Mo Ti, che rifletteva l’ideologia dei contadini, dei piccoli artigiani e commercianti oppressi. Mencio (372-287 a.C.) razionalizzò l’insegnamento di Confucio sulla "benevolenza" (o bontà di cuore) e sull’importanza dei valori morali nella società, dando così inizio a una disputa che avrebbe occupato i pensatori confuciani per diversi secoli. Mencio infatti sosteneva come norma della moralità la natura umana, che è fondamentalmente buona, per cui alla vita morale occorreva soltanto un processo di autoperfezionamento. Qui il discorso religioso diventa più esplicito, poiché il tentativo è quello di mostrare come il dio-cielo (concepito come forza morale) si rapporta all’uomo e lo aiuta a realizzarsi. Xunzi (298-238 a.C.), che è il terzo fondatore del Confucianesimo, sosteneva invece che la natura umana è incline al male e solo attraverso un’educazione imposta dall’esterno, essa può vivere pacificamente e con dignità. Da notare che fu soprattutto Xunzi a sviluppare il lato pratico della religione confuciana con la sua dottrina dell’azione rituale.

Confucio si era soffermato soprattutto sull’esigenza di vivere la vita con umanità e di preservare i riti tradizionali. Xunzi formalizzò e codificò questa prassi, introducendo nuovi riti, i quali, peraltro, essendo prevalentemente dei sacrifici ufficiali statali, erano poco sentiti dal popolo. Dong Zhong-Shu (197-104 a.C.) riuscì a far adottare il Confucianesimo come religione di stato sotto la dinastia degli Han (136 a.C.). Fece questo a prezzo di forti concessioni e con molto eclettismo: ad es. esaltò il ruolo del re abbassando quello del popolo (il re non è più "mandato dal cielo" e quindi revocabile, ma "esecutore del cielo", per cui la volontà dell’uno è sempre conforme a quella dell’altro). Naturalmente Dong preferiva la scuola di Xunzi. E grazie a lui si svilupparono notevolmente la burocrazia imperiale e la meritocrazia, cui il sistema degli esami per il mandarinato diede forte impulso. Sotto questa dinastia, il confucianesimo si arricchì di una cosmologia e di una metafisica, basata sul dualismo di yin (principio femminile, ombra, freddo, riposo, passività, terra) e yang (principio maschile, luce, calore, energia, attività, aggressività, cielo).

Con l’avvento della dinastia Sung (960-1279 d.C.) il pensiero confuciano entrò nella sua nuova e ultima fase di elaborazione. A partire dal XII sec. sorge praticamente il "neo-Confucianesimo", in direzione del panteismo e sotto l’influenza del Taoismo e del Buddismo. La prima scuola, detta "della ragione", dà una certa importanza alla materialità della vita, sostenendo che le contraddizioni pratiche possono pregiudicare seriamente la felicità dell’uomo, per cui il loro esame è indispensabile per modificare la realtà. Tuttavia, non ponendo la materia a fondamento dell’essere ma un’astratta legge o regola universale, questa scuola non determinò un nuovo interesse per l’osservazione scientifica. La preoccupazione fondamentale fu quella di studiare la storia passata e i testi classici, considerati depositari del modello ideale del "buon governo". La seconda scuola, detta "della mente" (che raggiunse il suo apice nei secoli XV e XVI), fu molto più idealista, in quanto sosteneva una stretta identità di essere e coscienza a partire dalla coscienza, per cui la felicità e la conoscenza dell’uomo dipendevano unicamente dalla introspezione e dalla illuminazione intuitiva.

L’ impostazione del Confucianesimo data da Dong rimase praticamente invariata sino al 1905. Poi il culto statale venne riorganizzato nel 1907 e soppresso nel 1912. Durante la "rivoluzione culturale" maoista ci si scagliò contro il Confucianesimo in quanto tale, senza distinguere le idee originarie del fondatore da quelle, di alcuni suoi seguaci, che poi risultarono dominanti. Una campagna anti-Confucio è stata condotta anche nel 1973: sotto accusa furono quegli insegnanti che si servivano di metodi autoritari. La casa di Confucio venne saccheggiata dalle "guardie rosse": le preziose edizioni di antichi testi confuciani conservate nella biblioteca, la statua di Confucio, quelle dei suoi quattro discepoli e seguaci più celebri, i vasi sacrificali, gli antichi strumenti musicali, fra i quali il liuto: tutto andò distrutto. Poco dopo la morte di Mao, la città natale di Confucio è stata riaperta ai turisti cinesi e dal 1979 anche agli stranieri. Oggi in Cina il culto è seguito da circa 200 milioni di persone: dal 1984 la ricorrenza della data di nascita di Confucio si celebra con grande solennità. Sua è una delle sentenze adottate dal PCC: "Che importa se il gatto è bianco o nero, purché acchiappi i topi". Al di fuori della Cina, il Confucianesimo si è sviluppato soprattutto in Corea: al Nord vi sono 7 milioni di seguaci, al Sud 2 milioni. In Giappone si diffuse a partire dal XV sec., dove sussiste ancora oggi sotto forma di dottrina filosofica tradizionale. Per effetto dell’immigrazione cinese, il confucianesimo si è diffuso anche in Vietnam, Thailandia, Filippine, Indonesia, Malesia, ecc., raggiungendo la cifra di circa 300 milioni di fedeli.

A cura del C.S. della S.I.A.

Indirizzo per chiarimenti
C.S.S.I.A.
E-mail: s.i.a.@tin.it

 

Per approfondire
- AAVV: Testi confuciani, Ed. UTET, Torino 1974.
- Collis M.: Confucio, Ed. Longanesi, Milano, 1970.
- Confucio: I dialoghi, Ed. Rizzoli, Milano 1978.
- Corradini P.: Confucio e il confucianesimo, Ed. Esperienze, Fossano, 1973.
- Eichhorn W.: La Cina, Ed. Jaca Book, Milano 1983.
- Fernet J.: Cina e cristianesimo, Ed. Marietti, Milano, 1984.
- Fernet J.: Il mondo cinese, Ed. Einaudi, Torino, 1978.
- Granet M.: La religione dei cinesi, Ed. Adelphi, Milano, 1973.
- Puech H.C. (a cura di): Storia delle Religioni. La Cina e la Corea, Ed. Laterza, Bari, 1978.
- Yin-Ching C.: La filosofia cinese, Ed. Garzanti, Milano 1960.
 

 


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