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Le professioni non regolamentate, ruolo dello stato e delle regioni. Il caso del “fitness”

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Le professioni non regolamentate, ruolo dello stato e delle regioni. Il caso del “fitness”

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Le 14 leggi regionali in materia di sport non fanno alcuna distinzione fra le attività sportive e l’attività motoria finalizzata al benessere psicofisico della persona – fitness. La questione ebbe inizio nel 1992 con una legge della Toscana, cui le altre Regioni attinsero successivamente, senza entrare nel merito e senza, tanto meno, consultare gli operatori che, a vario titolo, (imprenditori, tecnici, etc.) sono i soggetti protagonisti del settore.

Dall’analisi di dette leggi scaturiscono una serie di questioni irrisolte.

Innanzitutto, bisognerebbe comprendere per quale motivo ed in virtù di quale titolo, non essendo il “fitness” un’attività motoria disciplinata dal Coni e non avendo alcuna rilevanza agonistica (parere espresso dall’Authority della concorrenza e del mercato, provvedimento n.10784, del 23.05.2002), ai tecnici del Coni e delle FSN (seppure privi di uno specifico o quanto meno minimo titolo di studio), si riconosca il possesso di competenze nel settore “fitness” in virtù delle quali siano legittimati a ricoprire dei ruoli precisi.
In secondo luogo non sono definite le attività, non “organizzate” o “promosse” da Federazioni sportive riconosciute dal Coni, praticate nei centri fitness, impropriamente definiti “palestre”.

L’esenzione dal rispetto di qualsiasi definizione normativa dei predetti soggetti indurrà ulteriori imprenditori a rifugiarsi sotto il comodo “ombrello” dello sport dilettantistico, riducendo al minimo l’impatto positivo degli articolati in questione, oltre ad alimentare la diffusione dell’elusione fiscale.

A queste improprie normative di carattere regionale si aggiunge, fra le altre, anche la Pdl C4583 Santulli “Requisiti per l’apertura e il funzionamento delle palestre”, sulla quale la VII Commissione permanente della Camera ha concluso i lavori in sede referente il 22.02.05, con l’ambizione di farla approvare in sede “legislativa”, senza discuterne alla Camera, prima del termine della XIV Legislatura, nonostante le forti critiche sollevate in Commissione dal Dep. Antonio Rusconi.

Pertanto, anche in questo caso, se tali articolati legislativi regolamentano le attività delle “palestre”, ritenute diverse dalle discipline organizzate dagli enti aderenti al Coni, significa che disciplinano attività non sportive: quindi a quale titolo viene prevista la competenza del Coni e dei suoi tecnici?

Si ripropone, ancora una volta, l’interrogativo di fondo: il fitness è uno sport? Oppure trattasi, come noi riteniamo, di “servizi alla persona”, per i quali necessiterebbe una disciplina specifica?

Un’altra questione controversa e dibattuta è costituita dal fatto che le predette normative demandano la direzione tecnica e l’attività di insegnamento nei centri fitness ai laureati (se non addirittura studenti!) in Scienze Motorie ed ai diplomati ISEF in alternativa ai tecnici (sportivi) riconosciuti dal Coni ed esonerati, in virtù di ciò, da ulteriori riconoscimenti, requisiti o competenze.
A questo riguardo potrebbero esserci aspetti obiettabili anche sotto il profilo costituzionale:
In primo luogo perché l’esercizio della “professione” non può essere legittimato esclusivamente dal possesso di un titolo di studio (laurea o diploma), che dovrebbe costituirne soltanto uno dei requisiti, così come avviene per tutte le altre professioni “ordinistiche”, dove si richiede di espletare un idoneo periodo di tirocinio successivo alla laurea per acquisire le specifiche competenze professionali, prima dell’esame di abilitazione, il cui superamento condiziona l’esercizio della professione stessa.
In secondo luogo perché la professione dell’istruttore di fitness non rientra fra quelle “riservate” e manca di un proprio “albo professionale” alla cui appartenenza si dovrebbe essere vincolati per poter esercitare.

Inoltre, anche volendo far sostenere un periodo di tirocinio ai diplomati ISEF e laureati in Scienze Motorie, allo stato attuale sarebbe impossibile. Non esistono ancora, infatti, centri fitness in cui esercitano “istruttori iscritti ad un albo professionale”, che dovrebbero, in questa ipotesi, essere gli unici soggetti legittimati a svolgere le funzioni e ad assumere la responsabilità di “tutor” a garanzia della congruenza e della qualità di tale praticantato. E’ noto che anche il sistema scolastico nazionale, prevede l’obbligo di frequenza di un biennio presso una Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) ed il successivo esame di “abilitazione”, ad integrazione della laurea in Scienze Motorie o del diploma ISEF, per poter insegnare nelle scuole medie.

Il vero problema per il settore del fitness è costituito dall’incauta trasformazione di 13 ISEF, di buona memoria, in 33 corsi di laurea in Scienze Motorie, che pone in evidenza la totale mancanza di raccordo fra il modo del lavoro ed il sistema universitario. Fattore, questo, troppo spesso trascurato e che determina la disoccupazione e l’insoddisfazione dei neolaureati i quali, in buona parte privi delle specifiche competenze tecniche e professionali, non riescono ad inserirsi nei centri fitness, e, quindi, tentano di ottenere uno scudo legislativo che consenta loro di subentrare agli attuali istruttori. Il paradosso è che tali norme non soddisfano neanche loro, che dovrebbero essere i diretti beneficiari: qualora, infatti, diplomati e laureati fossero chiamati a sostituire l’attuale personale insegnate, dovrebbero accettare una retribuzione non consona al titolo di studio posseduto, percependo lo stesso compenso che il comparto offre ai propri tecnici considerato che non vi sono le premesse per aumentare i costi del personale.

A quanto enunciato, si sommano gli insormontabili problemi assicurativi e di responsabilità. Infatti, alcune delle predette norme legislative già prescrivono all’istruttore la sottoscrizione di una adeguata polizza personale contro i rischi derivanti dall’esercizio della professione. Allo stato attuale, le compagnie assicurative con estrema difficoltà assumerebbero il rischio di garantire un soggetto privo di tutti i necessari requisiti, ovverosia il possesso di conoscenze e competenze, ambedue certificate da organismi accreditati. E per rimanere in tema di responsabilità, non si può obbligare un imprenditore ad affidare la direzione tecnica e la gestione didattica ad un soggetto che possiede il prescritto titolo di studio ma che è privo di specifiche quanto consolidate competenze e conoscenze nonché delle abilitazioni tecniche necessarie allo svolgimento dell’attività professionale: in presenza di incidente, la responsabilità finale ricadrebbe comunque sull’imprenditore, in quanto le norme in vigore non lo solleverebbero da questa.

Proseguendo nell’analisi, si evidenziano ulteriori carenze nei predetti testi normativi:
in nessuna legge, infatti, vengono disciplinate le attività del fitness nella loro completezza, ivi comprese quelle praticate al di fuori dei centri fitness: piscine (vedasi il boom dell’acquafitness), spiagge, piazze, stadi, fiere, personal trainer, hotel, villaggi turistici, festival, centri termali/benessere, etc, rimanendo lacunose sotto questo profilo e, cosa più grave, non tutelando in maniera soddisfacente l’utenza globale di questa variegata attività motoria.
fra le lacune vi è altresì la grave assenza di norme transitorie, che consentano agli istruttori che operano attualmente, seppure privi dei titoli di studio prescritti (laurea o diploma ISEF), di poter equiparare il proprio livello formativo per mantenere il proprio posto di lavoro, come d’altronde previsto dai sistemi regionali della formazione professionale. Qualora tali leggi venissero realmente applicate, molti di questi istruttori transiterebbero dalle palestre all’esercito dei disoccupati, con tutte le conseguenze del caso. E questo non è tutto: non viene neanche previsto l’indispensabile periodico aggiornamento professionale dei laureati/diplomati o degli insegnanti in generale, come se il titolo di studio li abilitasse all’esercizio perpetuo della professione, in una materia che è invece soggetta a continua evoluzione e ricerca.

In conclusione, manca di fatto una organica normativa nazionale di riferimento, che sia condivisa da tutti gli operatori del settore e che consenta ai legislatori regionali di emanare delle norme chiare ed uniformi , senza creare privilegi, costituire disparità sociali e pericolosi squilibri economici.

Lo scopo di una buona legge è quello di salvaguardare l’utenza senza al contempo colpire il mercato, facendo attenzione a porre in essere le misure più opportune per tutelare equamente gli interessi di tutti i soggetti coinvolti.

L’insieme di carenze e questioni irrisolte presenti nei vari testi normativi citati, determina di fatto, l’inefficacia dei provvedimenti sino ad ora emanati o da emanare. Di confortante c’è che la maggior parte di essi restano disattesi per la loro palese incongruità o inapplicabilità.

É quindi indispensabile attuare urgentemente una graduale trasformazione ed un riordino organico del comparto del fitness, per favorirne il consolidamento e porre le basi per un ulteriore sano sviluppo. Sistema ancora troppo fragile, che non può passare, senza le necessarie fasi intermedie, da uno stato che, per l’assenza di regole eque può considerarsi ad “anno zero”, ad una situazione estrema, che prescrive l’utilizzo di personale tecnico laureato ma comunque privo di competenze certificate.

Ringraziamo per la collaborazione
Federazione Italiana Aerobica e Fitness
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