Improvvisa ed intensa sudorazione, batticuore, un repentino nodo alla gola, una 
nausea istantanea e forti dolori al petto insieme ad una impensata paura di 
morire. Ecco come si presenta un Disturbo da Attacco di Panico (DAP): le 
sensazioni vissute sono terribili e la cicatrice che rimane nell’animo è 
pesante.   
 
I dati 
I dati statistici indicano che sono oltre 2 milioni gli italiani che 
soffrono di DAP: è in fortissimo aumento in tutte le società ad alto sviluppo 
tecnologico ed è quasi assente in altre culture. Colpisce in percentuali senza 
rilevanti differenze sia i maschi che le femmine, in un arco di età che varia 
dai 16/18 anni fino ai 55/60 anni (molto più raramente in età precoce, 11-13 
anni). Nella maggior parte dei casi, le persone 
 che soffrono di DAP 
intraprendono un percorso che ha spesso molti elementi in comune: chiede aiuto 
al proprio Medico di base nella fase iniziale del disturbo, quando compaiono i 
primi sintomi. In generale, le persone sono in grado di descrivere in modo 
chiaro e preciso la sintomatologia dell’attacco di panico, ma il più delle 
volte, anche quando gli viene suggerito dal Medico, esse non si rivolgono agli 
psicoterapeuti specialisti, pensando che non sia un disturbo da curare, che 
possa guarire da solo o attraverso terapie palliative e accessorie.  
 
La paura della paura 
Il timore di un nuovo attacco è sempre presente e non abbandona mai: si 
sviluppa la cosiddetta ‘paura della paura’. Quest’ultima è il risultato di una 
serie di sensazioni che vengono interpretate come ‘segnali premonitori di un 
imminente disastro’, ovvero di avere un infarto, di perdere i sensi, di 
soffocare o di impazzire. Dobbiamo distinguere tuttavia tra la ‘percezione 
fisica’ e l’interpretazione che viene fatta dal soggetto. In altre parole, la 
sensazione di un aumento del battito cardiaco viene ‘interpretata’ come 
l’indicatore di un incombente attacco di cuore, mentre la sensazione della 
vertigine viene ‘interpretata’ come incipiente svenimento. Un’altra erronea 
interpretazione è quella che si riferisce al vortice dei pensieri e alla 
difficoltà di concentrazione che viene ‘interpretata’ come segnale di imminente 
‘impazzimento’.  
 
Il circolo vizioso 
Su queste ‘percezioni’ corporee e mentali e sulle relative ‘interpretazioni’ 
si innesta il cosiddetto circolo vizioso dell’ansia, la quale a sua volta è 
l’origine di ulteriori modificazioni corporee: Percezione di eventi interni (ad 
es. Tachicardia) → Interpretazione come 
‘Minaccia’ → Ansia
→ Sollecitazione di risposte corporee
→ Interpretazione come ‘Minaccia’
→ Ansia → 
…. 
L’ansia, gli effetti dell’ansia (e le loro interpretazioni) si autoalimentano in 
un circolo che ha l’effetto di un folgorante ‘corto circuito’ e che la persona 
sperimenta come devastante.  
 
L’evitamento 
Una delle più frequenti conseguenze di questa situazione complessiva è la 
graduale elaborazione di strategie di ‘evitamento’, ovvero la sensazione di 
dover escludere dalla propria vita situazioni, circostanze, luoghi dai quali 
sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi o nei quali potrebbe non essere 
disponibile un aiuto immediato. L’evitamento, quando si consolida, porta 
facilmente alla cosiddetta Agorafobia allargata, ovvero riferita non solo 
a luoghi, ma anche a specifiche situazioni (guidare l’auto in galleria, fare la 
fila al supermercato o alla posta, ecc.).  
 
 La depressione secondaria 
Essa si può produrre in seguito alla frustrazione di vivere 
contemporaneamente due sensazioni contrastanti: sapere di essere adulto e di 
aver sempre svolto in completa autonomia determinate attività e la concomitante 
sensazione di essere ormai schiavo del proprio disturbo in cui spesso si 
costringono i familiari ad adattarsi, a non lasciare mai sola la persona, ad 
accompagnarla ovunque, ad essere dipendente.  
 
Il trattamento dell’ansia e del DAP 
Diciamolo con chiarezza: l’unico trattamento efficace, valido e duraturo è 
la psicoterapia analitica. Non ci sono scappatoie: quelle che lo sembrano 
(psicofarmaci, terapie e trattamenti olistici o terapie miracolosamente 
brevissime) nel giro di poco tempo si rivelano invece trappole, inganni o 
illusioni. In ogni caso, prima di avviare la psicoterapia, è necessario 
rivolgersi al proprio Medico per effettuare una serie di indagini diagnostiche e 
di analisi cliniche allo scopo di scongiurare eventuali disturbi organici o 
funzionali. Le più importanti sono:  
  
Analisi del sangue, con livelli di 
Tirosina  
Analisi delle urine  
Pressione arteriosa  
Ecografia tiroidea  
Elettrocardiogramma  
 
Lo smarrimento e la fase di elaborazione 
Come spesso accade quando le analisi cliniche risultano negative e cade ogni 
ipotesi di un disturbo organico/funzionale, la persona appare ancor più 
disorientata e smarrita. E’ questa la fase in cui la persona deve elaborare e 
comprendere profondamente che il suo disturbo non ha un’origine organica, ma 
esclusivamente psicologica. 
Questa fase è spesso lunga e durevole perché la persona non accetta facilmente 
che il proprio disturbo possa essere esclusivamente di origine psicologica: pur 
temendo con terrore un disturbo organico (ad es. una cardiopatia), 
paradossalmente anche quando questa viene esclusa, non subentra la 
consapevolezza di richiedere un aiuto psicoterapeutico, interpretato come 
superfluo, inutile o talvolta ‘peggiore’ dell’intervento di un cardiologo. 
L’idea di soffrire di un disturbo psicologico viene vissuto come ‘imbarazzante’, 
quasi come un’onta e una ferita d’orgoglio, procrastinando così l’avvio della 
cura risolutiva. 
Solo dopo un certo tempo, che in alcuni casi purtroppo è davvero lungo (alcune 
persone si sono rivolte allo Psicoterapeuta dopo 10 anni di DAP!), solo una 
minima parte richiede un colloquio specialistico. Sfortunatamente, durante 
questa fase di elaborazione le persone tentano numerose strade di dubbia 
validità o di precaria efficacia, rivolgendosi erroneamente a specialisti di 
altre discipline o, peggio, rischiando di cadere nelle mani dei molti ciarlatani 
in circolazione. 
 
 La fase acuta e i trattamenti coadiuvanti 
Per le persone che soffrono di vertigini o hanno paura di svenire, può 
essere d’aiuto portare con sé oggetti che possono rappresentare un primo 
intervento e un ‘tampone’ alla situazione contingente. Ad esempio, un 
sacchettino di mandorle sgusciate (masticarne 3 o 4 al momento del bisogno); un 
altro valido aiuto immediato è dato dalle caramelle con zucchero. 
Tra le tecniche coadiuvanti che possono accompagnare il trattamento 
psicoterapeutico vi sono la Fitoterapia, la Floriterapia (Fiori di Bach), il 
Training autogeno, ma anche lo Yoga, la Meditazione, l’Agopuntura, la 
frequentazione di gruppi sociali (Parrocchia, Scout, Associazioni e Circoli 
culturali). Ognuna di queste tecniche può essere suggerita in affiancamento, ma 
mai in sostituzione della psicoterapia che evidentemente è la cura elettiva per 
tutti i disturbi di origine psicologica. Possono quindi aiutare alcune gocce di 
Melissa sotto la lingua, oppure il Rescue Remedies o il Mimulus, oppure ancora 
15 minuti al giorno di T.A. o di Meditazione.  
 
Il trattamento elettivo e il significato del disturbo 
Elementi di una buona prognosi sono:  
- l’età di insorgenza  
- il tempo trascorso (mesi, anni) prima di intraprendere una psicoterapia  
- l’eziologia  
- l’ambiente familiare originario  
- l’ereditarietà o la familiarità sui disturbi d’ansia  
- l’eventuale cronicizzazione del disturbo  
- la personalità e la sensibilità dell’individuo  
- il supporto ambientale attuale  
Quelli che tuttavia ritengo più importanti sono l’età della persona e 
l’intervento precoce e tempestivo: meno tempo passa tra i primissimi segnali e 
l’avvio di una psicoterapia e più rapidi, solidi e duraturi sono i risultati. 
 
Il significato del disturbo è l’aspetto più personale e specifico, dove poco 
possono aiutare le generalizzazioni e dove ogni persona manifesta 
caratteristiche uniche ed individuali. 
Le persone che soffrono di DAP solitamente sono - anche senza rendersene conto - 
bloccate in alcuni punti essenziali del loro percorso evolutivo personale. Il 
DAP è il segnale psichico di questo impedimento: è il segnale che alcuni 
passaggi trasformativi sono diventati assolutamente necessari, ma di cui le 
persone sono invece totalmente ignare e inconsapevoli o, nel migliore dei casi e 
quando se ne rendono conto, ne sono intimorite. Il DAP è quindi il segnale di 
una sofferenza che non riesce ad avere voce, che non riesce ad essere 
adeguatamente ascoltata, decodificata e sciolta. 
  
Uno degli elementi del protocollo 
terapeutico è basato sull’ascolto e su alcuni importanti interrogativi di fondo: 
“Cosa sta segnalando questo panico? Cosa vuole comunicare? Dentro la bottiglia 
c’è un messaggio: qual’è il messaggio che vuole consegnare e che invece la 
persona fino ad oggi si è rifiutata di ascoltare? Quali sono i grandi progetti 
della sua vita? A che punto è nella loro realizzazione e come è possibile 
aiutarla? Come entra l’ansia nello specifico contesto evolutivo, di 
realizzazione personale, di sviluppo esistenziale?”  
L’ansia va sconfitta attraverso la comprensione del suo significato profondo 
all’interno del quadro del proprio progetto esistenziale e della vita attuale e 
quotidiana. 
Rispondere autenticamente e profondamente a queste domande significa trovare il 
“perché” degli attacchi di panico: significa disinnescarli e significa riuscire 
ad integrare ’pezzi’ importanti della propria persona che diversamente rimangono 
separati dalle ’strategie’ di evitamento e dai trucchetti. Nessun protocollo 
terapeutico può essere valido nel tempo se non tiene in grande considerazione 
che la sofferenza delle persone ha radici che affondano nei bisogni esistenziali 
fondamentali. 
  
A cura di Gianpiero 
Ciappina 
Un grazie per la 
collaborazione a 
www.solaris.it  
   
                  
                    
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