Bolivia... a piedi!


Prima della partenza

L’itinerario si snoda dal deserto di S. PEDRO DE ATACAMA, attraverso le meravigliose lagune boliviane ed i famosi vulcani LINCANCABUR 5916 mt. s.l.m. e UTURUNCU 6010 mt., fino ad arrivare al SALAR DE UYUNI, la pianura salata più vasta del mondo (12.106 Kmq) ad un’altitudine di 3650 mt. slm, che attraverseremo in circa 6 giorni percorrendo 180 Km.

Tutto il percorso si svolgerà in quota e i primi giorni saranno i più rischiosi e impegnativi: si passerà dai 2400 mt. slm di S.PEDRO DE ATACAMA (Cile) ai 5000 mt. del primo passo ai confini con la BOLIVIA, in soli 60 Km. La quota può creare problemi d’acclimatamento, e in agosto il clima, specialmente sull’altopiano, è molto freddo; la notte la temperatura può raggiungere -20°C. In questo territorio tutto è estremo, ma naturale. I venti fortissimi, le tormente, la siccità, il caldo, il gelo sembrano eventi imposti dagli imponenti vulcani attivi che contraddistinguono la Cordigliera Andina.

Il nostro mezzo sarà un carretto costruito artigianalmente, in lega leggera, con due ruote, che traineremo per tutto il percorso. Dovrà sostenere un notevole peso sulle impervie piste dell’altopiano boliviano. Il peso stimato a pieno carico si aggirerà intorno ai 50/60 Kg. per ciascun carretto e conterrà tutto il materiale da campo: tenda, sacco piuma, pentole, fornello e gli alimenti (pasti disidratati e liofilizzati, frutta secca, reintegratori ecc.), tutto il vestiario tecnico (indispensabile quello pesante per l’alta quota). Abbiamo calcolato un’autonomia totale di cibo per almeno 20 giorni e acqua per 7-8 giorni Il carretto sarà una sorta di piccola roulotte che ci seguirà lentamente per oltre un mese al ritmo dei nostri passi.

La spedizione avrà una durata di circa 30/35 giorni e la partenza è prevista per la seconda metà di luglio 2005. La spedizione sarà documentata da tante foto e da un filmato

 

Diario di viaggio

Il percorso, portato a termine in circa 20 giorni di cammino, è stato duro, anche per il verificarsi di tanti imprevisti e difficoltà legati al contesto territoriale e climatico.
Partiti da San Pedro de Atacama, dopo aver riassemblato tutti i pezzi del carretto, abbiamo intrapreso la prima parte del percorso su una striscia d’asfalto non troppo entusiasmante.
Fin dal primo giorno soffia un forte vento contrario che ci mette a dura prova, anche perché non sufficientemente acclimatati.

Nel cammino che ci porta al passo di frontiera dobbiamo fronteggiare, oltre al forte vento, un dislivello di 2400 mt, ma nonostante le difficoltà, riusciamo a percorrere circa 25 km raggiungendo nel primo giorno una quota di circa 3400 mt. La stanchezza si fa sentire tutta, montiamo la nostra tenda e al riparo dal vento freddo riusciamo a nutrirci col nostro primo pasto disidratato.

Prima che il sonno ci assalga facciamo alcune considerazioni sugli approvvigionamenti ….quelli di cibo non ci preoccupano, viceversa ci creano irrequietezza e tensione quelli d’acqua in quanto tra Laguna Blanca, non distante dal confine e dove si trova un dormitorio con cibo e acqua, fino a Laguna Colorada non vi è nulla... e questo nulla si estende su una distanza di circa 140 km di piste sabbiose e sconnesse... un po’ troppi per permetterci sonni tranquilli!!!

Il risveglio del mattino ci ricorda che non dobbiamo disattendere l’impegno preso con il dipartimento di medicina dello sport di Cagliari e così rileviamo i primi dati circa gli adattamenti del nostro cuore alle variazioni di quota.
L’operazione si presenta abbastanza “tragica” in quanto condizionata dalla bassissima temperatura interna alla tenda, 2 gradi, figuriamoci fuori, a -10... ma si fa.

La ripresa del cammino ci porta ad affrontare la seconda giornata verso il passo della frontiera; la vera salita comincia ora! Facciamo fatica a scaldarci, il vento freddo e contrario è sempre presente, mettendoci subito in difficoltà; avvertiamo anche disturbi legati all’altitudine, come cefalea e nausea... dopo quattro ore e mezza interminabili decidiamo di fermarci: non stiamo bene.
Mancano 15 km alla frontiera e pensiamo che proseguire significhi farsi del male in quanto non siamo ancora acclimatati; mentre cerchiamo una soluzione sul da farsi si ferma accanto a noi un fuoristrada con due turisti a bordo che, incuriositi dall’insolito mezzo di locomozione, ci chiedono se abbiamo problemi… rispondiamo di sì e, date le condizioni fisiche veramente precarie, decidiamo di accettare il passaggio a Laguna Blanca che si trova poco oltre la frontiera.
Qui ci siamo rimessi in sesto: un alloggiamento, un pasto caldo e una branda ci tirano sù il fisico e il morale.

Prima di accomiatarci dal gruppo che gentilmente ci ha portato oltre confine, abbiamo il tempo di chiedere informazioni e discutere con l’autista circa il nostro attraversamento fino a Laguna Colorada; sappiamo delle difficoltà degli approvvigionamenti d’acqua. Gli spieghiamo il nostro progetto; ci vede un po’ preoccupati e ci dice che, alla guida di un’altro gruppo, passerà sullo stesso percorso tra due giorni… gli chiediamo la disponibilità a portarci l’acqua e lui… accetta!!! Gli diamo dei bolivianos e stimiamo, andando a una media giornaliera di 25 km, d’incontrarci lungo il percorso a 50 km circa del cammino.

Nonostante l’ampia disponibilità, abbiamo grossi dubbi di ritrovarlo tra due giorni; siamo fortemente indecisi sul da farsi, ma il programma può andare avanti solo con questa soluzione; l’alternativa è fermarsi e quindi... decidiamo di andare!

Durante il cammino, contrassegnato dalla costante presenza del vento freddo ora contro ora di lato - ma mai a favore - in un contesto territoriale di assoluto isolamento, di dura fatica per via della sabbia e delle salite, abbiamo anche il costante pensiero di non ritrovare l’amico autista con l’acqua... questi sono stati sicuramente i giorni più difficili di tutto il nostro cammino.
Questo pensiero, che pesa come un macigno, ci accompagna per due lunghi giorni e svanisce allorché avvistiamo in lontananza un polverone, segno del passaggio di una macchina… un suono di claxon insistente ci rassicura che si tratta di lui; ci fermiamo ad attenderlo... e con lui e l’acqua ci rinfranchiamo. Il nostro entusiasmo è tangibile, ci da l’acqua e lo salutiamo con un grande abbraccio: questo gesto di grande solidarietà non lo dimenticheremo facilmente.

Nonostante la tranquillità ritrovata con le scorte d’acqua, i giorni a seguire  si rivelano sempre più duri: la condizione delle piste peggiora, diventano sempre più sabbiose; in alcuni tratti siamo costretti ad aiutarci a vicenda per poterli superare... I tempi di percorrenza a piedi sono enormemente dilatati e vi è qualche momento di sconforto; l’impressione è quella di non poter arrivare mai alla meta, ci sentiamo una nullità, infinitamente piccoli e soli.

Durante il cammino ciascuno di noi cerca di trovare le energie fisiche e interiori per proseguire e a turno ci incoraggiamo, ma è come se ciascuno di noi si trovasse ovattato nella propria sfera fatta di fatica, sofferenza, emozioni ora positive, ora negative… e attendiamo la fine della giornata per metterci al riparo nella nostra tenda e anche per “sentirci” nel nostro fisico che oramai manifesta dei cedimenti: a causa del gesto motorio innaturale e non consueto, nonostante gli allenamenti, la schiena sembra quasi abbia fatto l’abitudine al dolore, mentre le mani di Daniele sono piagate dal freddo ed è presente anche qualche vescica sui piedi.

A due giorni dall’approvvigionamento d’acqua e da una stima dei km percorsi, capiamo che siamo ancora distanti da Laguna Colorada; la difficoltà delle piste comporta un avanzamento lento, le scorte d’acqua - anche a causa della rottura di due bottiglie - sono di nuovo scarse... e ricadiamo nello sconforto.
Necessita un momento di riflessione e ci fermiamo, anche per riposare; mentre discutiamo di questi problemi, si materializza una sagoma piccola e lontana… un fuoristrada! Un saluto, un cenno e per l’ennesima volta la fortuna ci viene incontro: l’autista ci offre di accompagnarci a Laguna Colorada per circa 35 km… non esitiamo!

Arriviamo a Laguna Colorada, prendiamo alloggio e decidiamo, visti i colori della laguna, di fare qualche foto e delle riprese; la vista merita molta attenzione e anche durante il cammino, le riprese e le foto, purtroppo, non riescono a trovare mai lo spazio che gli scenari meritano.
Mettiamo mano all’attrezzatura fotografica e ci accorgiamo che il freddo intenso ha scaricato le nostre scorte di batterie; non c’è molto da fare, da questo momento e finché non troveremo energia per le nostre pile, le foto e le riprese saranno quelle dei nostri occhi e della nostra mente.

Riprendiamo il cammino da Laguna Colorada alla volta di Villamar e stimiamo (salvo inconvenienti) di arrivarci in due giorni, al massimo tre; le condizioni fisiche reggono bene nonostante la dura fatica e oramai siamo acclimatati, ma non sottovalutiamo il fatto che fino ad ora non siamo mai scesi al di sotto della quota di 4300 mt di altezza.

In questa tappa pensiamo di camminare il più possibile, nonostante il rallentamento dovuto non solo alla condizioni della pista, ma anche a causa di diversi attraversamenti di piccoli torrenti che talvolta ci costringono a scalzarci, tastando le gelide acque in certi tratti ancora ghiacciate.

Dopo sette ore di cammino ci fermiamo esausti, montiamo il campo con particolare attenzione al fornello che dovrà scaldare il nostro lauto pasto. Dormiamo bene e al mattino monitoriamo, come di consueto, gli adattamenti del nostro cuore allo sforzo in altitudine, il tutto nonostante le dure condizioni date da stanchezza e molto freddo; abbiamo le uniche batterie cariche da gestire con molta parsimonia per i rilevamenti del progetto scientifico… speriamo di arrivare fino in fondo!

Anche in questa giornata la fatica del cammino è compensata dalla spettacolarità dei paesaggi; abbiamo l’impressione che una splendida mano si sia divertita e abbia messo grande estro e creatività nel dipingere, formare e colorare questa splendida natura. Anche i suoni sono forti e sono quelli del vento che soffia imperterrito, da queste parti; Sergio, o meglio, il suo carretto ne paga le conseguenze, fortunatamente senza gravi danni che possano ostacolare la prosecuzione del cammino, solo una barra storta a causa del ribaltamento per le forti raffiche.

La stima del cammino per arrivare a Villamar si dimostra fallace e siamo costretti a fare il campo a circa 15 km dal villaggio; arriviamo l’indomani e sostiamo 2 h per mangiare una calda zuppa e vivere il contatto con la gente del posto. Cogliamo con gioia l’occasione e la presenza di un generatore di corrente (che accendono appositamente per noi) per ricaricare un minimo le batterie; ci accontentiamo di poco!
Facciamo una buona scorta d’acqua e ci rimettiamo in cammino; sappiamo che i prossimi approvvigionamenti saranno ad Alota e San Cristóbal, ma siamo tranquilli! Alla periferia del villaggio troviamo l’ennesimo corso d’acqua da guadare: sembra che non vi sia altra soluzione che scalzarci anche stavolta e fare un pediluvio nelle fredde acque del piccolo rio.... In nostro aiuto interviene un gruppo di bambini della scuola del villaggio, meravigliati dell’insolito mezzo di locomozione a cui siamo imbragati: ovunque la consuetudine vuole che siano gli asini a trainare i carretti! Resisi conto della nostra natura (diversa da quella degli asini), i bambini si sono prodigati ad indicarci un ponticello fatto di pietre e ci hanno aiutato a trasportare il carretto oltre il corso d’acqua; dopo i nostri ringraziamenti, richiamati dal maestro hanno riguadagnato le aule.

Dopo tanti giorni siamo ad una quota sotto i 4000 mt, la temperatura è migliorata e durante il giorno vi sono anche 12 gradi; saranno queste condizioni un po’ più favorevoli a farci percorrere in questa tappa altri 20 km.
Ormai l’incedere del nostro cammino è lento, ma sicuro e da Villamar in poi anche un po’ meno difficoltoso.

Il morale è alto anche se la fatica è sempre e comunque nostra compagna quotidiana, ma l’avanzare verso la meta ci carica di energia e motivazione. I campi si susseguono senza grosse problematiche; anche ad Alota riusciamo ad approvvigionarci di tutto ciò che ci occorre e proseguiamo nel nostro percorso alla volta di San Cristóbal, villaggio dove ci forniamo di quanto ci serve per arrivare fino ad Uyuni.

Dopo un’ora di cammino ci rendiamo conto che ci stiamo immettendo in una strada di grosso traffico, a tratti asfaltata e con frequenti passaggi di camion in quanto nelle vicinanze si trova una grossa miniera.
I camion suonano ripetutamente il clacson al loro passaggio e ci passano vicinissimi, costringendoci a spostarci sul bordo della strada e creandoci uno stato di nervosismo costante, anche per il pericolo che realmente corriamo. Nemmeno i paesaggi ci aiutano a superare questo stato, non sono più belli come quelli fino ad ora visti e gli sforzi che facciamo non sono più compensati.

Al primo spazio lungo la strada ci fermiamo e dopo esserci consultati facciamo cenno ad una machina di fermarsi per chiedere  informazioni sul proseguo della strada fino ad Uyuni; le notizie non sono incoraggianti, la strada prosegue alternando asfalto e sterrato con transito di camion.
Attendiamo 30 minuti circa prima che un camion si fermi; contrattiamo il passaggio, 20 bolivianos, carichiamo i carretti sul cassone e arriviamo ad Uyuni dopo circa 40 km.

La città ci accoglie in maniera fredda (in linea con quello preso in questi giorni!) e anonima; dovremo trattenerci il tanto che basta per organizzare la logistica per attraversare il salares. Troviamo un albergo con acqua "calda", per usare un eufemismo, e dopo 12 giorni di lunga attesa possiamo farci una meritata e doverosa doccia.
Organizzata la logistica, ci tratteniamo ad Uyuni oltre le previsioni, 3 giorni, anche per recuperare energie psicofisiche dopo le fatiche del cammino percorso.

Lunedi’ 1 agosto, dopo la visita al Cementerio des los trenos (cimitero dei treni), ci accompagnano a Colchani, villaggio situato all’ingresso del salares che basa la sua economia sull’attività legata all’estrazione del sale.
Iniziamo la traversata ammirando i muntones di sale e gli ojos del salar, che sono delle risorgenze di acqua dal sottosuolo; la nostra direzione è quella di Qoquesa al Volcan Tunupa che, con l’imponenza data dai suoi 5900 mt di altezza, è visibile da Colchani....Una lieta sorpresa, che ha ovviato alla soluzione che a priori avevamo previsto e cioè attraversare il salares dapprima in macchina per rilevare i punti GPS e poi percorrerlo. Un po’ di denaro risparmiato, il che non guasta.

Le sensazioni che avvertiamo sono incomparabili, a livello di fatica, con quelle vissute sino ad ora: nessuna salita, solo una piattaforma di sale che scorre sotto i nostri piedi... il passo si rivela da subito sciolto e veloce e la vista che si offre ai nostri occhi è di straordinaria bellezza.
Procediamo secondo la tabella di marcia prevista e alla fine del secondo giorno di traversata riusciamo a compiere 60 km. Montiamo i campi prima del tramonto per non farci cogliere alla sprovvista dal vento freddo e intenso che avvertiamo puntualmente intorno alle 16.30 circa.

Al tramonto il salar si tinge di varie tonalità di rosa, mentre le nostre ombre si allungano a dismisura, un fenomeno simile non lo avevamo ancora visto.
Nel terzo giorno di traversata siamo svegli alle prime luci e godiamo appieno l’alba del salares che, alla pari dei tramonti, offre scenari di rara bellezza.

Ci avviamo, tra 20 km saremo al Volcan Tunupa e al piccolo pueblito di nome Qoquesa; prima di entrarvi dovremo attraversare una piccola laguna (che divide il salares dal villaggio), habitat naturale i fenicotteri rosa, molto simili ai nostri ma adattati a un clima decisamente più rigido.
Non ci è possibile attraversare la laguna e chiediamo passaggio ad un mezzo in entrata; nel villaggio troviamo tutto ciò che ci occorre, compresa una bella branda!

Il Tunupa ci offre la sua vetta di forma conica, dai colori pastello, e un piccolo trekking che ci porta alle cuevas delle mummie. Fatte le scorte d’acqua, al mattino ripartiamo alla volta dell’Isla de los Pescadores ( Isla Inca Huasi) che s’intravede in lontananza…arriviamo in giornata dopo sei ore di cammino e montiamo il campo nei pressi di una piccola grotta.
La visita all’isola è dovuta e risulta molto interessante per la particolarità della flora: cactus nani, piccoli, giganti e di tutti i tipi formano un giardino unico nel suo genere.

La nostra traversata prevede come prossima tappa Llica, a nord ovest del salares. Partiamo come di consueto alle 9 e dopo cinque km circa abbiamo un problema: il carretto di Sergio, forse logorato anche dal lungo allenamento previaggio, ha il mozzo che non va, si blocca e va a scatti, ma fortunatamente abbiamo con noi grasso e qualche pallino di scorta…dopo aver scaricato i bagagli smontiamo tutta la ruota e pensiamo di aver risolto il problema.
Il tutto ci fa perdere tempo, cambiare umore, ma sopratutto decidiamo per un cambio di rotta in quanto la pista in direzione Llica è poco trafficata e in caso di guasto meccanico ci troveremmo in seria difficoltà; decidiamo di tornare verso Isla Inca Huasi per poi proseguire verso Colchani.

Nel salares, oltre al passaggio di numerosi fuoristrada, notiamo in più circostanze piccoli gruppi di ciclisti; come già accaduto con altre persone nella precedente parte del cammino, si fermano incuriositi dal nostro mezzo di trasporto; spiegato lo scopo del nostro viaggio, si complimentano con noi per la particolarità e l’originalità della nostra esperienza: Ormai il salares non è più un’esclusiva per pochi ciclisti solitari come anni fa!

Proseguiamo alla volta di Colchani, distante 70 km circa, e capiamo che se vogliamo rispettare i tempi di arrivo stimati, in questi ultimi 2 giorni dovremo macinare qualche km in più. E così l’ultimo giorno partiamo un po’ prima del solito (h 8.00) e dopo 8 ore di cammino arriviamo a Colchani molto stanchi, senza quasi renderci conto di aver portato a termine il nostro progetto.
La giornata è trascorsa per tutti e due (ma ognuno lo può dire per sè) al pensiero di vivere questo magico momento in maniera assolutamente liberatoria: niente di preparato, ma tutto molto spontaneo e sincrono… liberatici dallo stretto legame col carretto, ci siamo guardati e ci siamo abbandonati all’emozione di un abbraccio...

Arrivati a Uyuni con mezzo di fortuna, per 20 km, ci accomiatamo dai nostri carretti barattandoli con artigianato locale… un po’ di tristezza in questo momento la avvertiamo nell’abbandonare i nostri fedeli compagni di viaggio, ma ci fa piacere pensare che questi mezzi possano essere utili per il lavoro quotidiano di questa gente; qui il carretto è un mezzo di lavoro e trasporto molto utilizzato.

Lo stato di povertà è tangibile tanto nei villaggi dell’altopiano che nelle grosse città: la gente vive di grande stenti e dove le condizioni ambientali e climatiche sono inclementi la vita è ancora più difficile. Tutto ciò lascerà un segno indelebile dentro di noi.
Nel nostro piccolo siamo riusciti a portare un messaggio di solidarietà attraverso la raccolta di materiale sportivo vario e di cancelleria scolastica, destinati a un progetto di scolarizzazione di una comunità di bambini sita nell’altopiano Boliviano, una delle zone più povere ed isolate che abbiamo visto.

Riteniamo che la distanza inizialmente prevista e stimata in 800 km, 480 dei quali effettivamente percorsi in 18 giorni di cammino, sia difficilmente realizzabile, a piedi, senza il supporto logistico di un mezzo che nei punti di maggior isolamento approvvigioni d’acqua; il territorio, infatti, nonostante la presenza delle lagune (dalle acque non potabili) per lunghi tratti non presenta possibilità di approvvigionamento.

Ciao a tutti da Daniele Rocca e Sergio Soro