I piedi fasciati nelle donne cinesi


Fragile e minuta come una porcellana, pudica e leziosa come una bambina, con movimenti aggraziati e discreti, piedini come minuscole mezzelune, fasciati di seta e calzati di scarpine ricamate, più un gingillo e un accessorio del marito che una donna vera; questo è sempre stato l’ideale femminile nella Cina confuciana (1).

Oggi, le donne cinesi, in corsa anch’esse verso l’imminente alba del terzo millennio e protese a vivere nel villaggio globale, non si fasciano più i piedi e conoscono altri modi per affascinare un uomo.

 

L’usanza, giudicata dai più una cosa deplorevole perché "innaturale" (ma a questo punto cosa dire allora, per esempio, dell’usanza di allungarsi il collo adornandolo di numerosi anelli o di quella di portare corsetti talmente stretti da provocare non solo "eterei" svenimenti ma anche deformazioni), è ormai un reperto storico (2). Poiché abitudini e mode riflettono in un certo senso i valori sociali e psicologici di una società o di quella parte di essa che le seguono, la fasciatura dei piedi deve essere vista e considerata come uno dei tanti elementi che compongono il problema di fondo della posizione e del ruolo della donna nella società cinese, una parte integrante della sua cultura (3). La totale mancanza di documentazione rende difficile qualunque ricerca e, se non fosse per le ultime viventi di questa pratica, le poche ultra ottantenni che ancora si vedono muoversi faticosamente a minuscoli passettini, nei vicoli delle città o in campagna, si potrebbe pensare che si tratti solo di una leggenda carica di fascino e di mistero (1).

 

La predilezione dei cinesi per i piedi piccoli risale a tempi lontanissimi e venne espressa poeticamente ancor prima dell’era di Confucio (551 - 479 a.C.). Il camminare a passi corti e misurati rientrava in un canone di comportamento femminile che valorizzava la grazia e l’equilibrio. In un manuale del XIX secolo si legge: "Quando cammini, non girare la testa; quando parli, non aprire la bocca; quando siedi, non muovere le ginocchia; quando sei in piedi, non agitare le vesti; quando sei felice, non ridere forte; quando sei arrabbiata, non alzare la voce" (3). Tutto ebbe inizio, secondo una storia popolare cinese, per l’astuzia di una volpe che aveva tentato, mediante la fasciatura, di celare le proprie zampe per assumere le sembianze umane dell’imperatrice Shang, dando così il via a una moda di corte. Secondo un’altra versione, l’imperatrice, che aveva un piede equino, aveva persuaso il timido consorte a rendere obbligatoria per tutte le giovani la compressione dei piedi. Il decreto mise così l’imperatrice nella condizione di esibire la sua deformità come modello di bellezza e di eleganza. Secondo, invece, Zhang Bangji, un chiosatore vissuto agli inizi del XII secolo, la fasciatura dei piedi era iniziata durante il regno di Li Yu (961-75), imperatore e poeta della dinastia meridionale dei Tang, che governava su una regio-ne della Cina prima della riunificazione operata dai Song. Li Yu aveva a palazzo una concubina favorita che si chiamava Fanciulla Soave, fine danzatrice e donna di estrema bellezza dalla vita esile. Aveva fatto costruire per lei un loto d’oro alto un metro e ottanta, tempestato di perle e con un carpello rosso al centro. Fanciulla Soave fu costretta a fasciarsi i piedi con seta bianca in modo che le punte assomigliassero alle estremità della falce lunare. Quindi danzò al centro del loto, volteggiando come una nube che si alza. In ogni caso sembra certo che siano state le danzatrici di corte a introdurre, verso il X sec., questa usanza; il che lascia intendere che in un primo periodo la compressione doveva essere solo leggera e non tale da pregiudicare seriamente il movimento (4). Larghi strati dei circoli cortigiani e delle classi aristocratiche imitarono quella moda, che divenne ben presto un simbolo sociale. Nei secoli successivi, le classi borghesi e persino il proletariato si uniformarono al gusto delle classi nobiliari.

 

Alla sempre maggiore diffusione corrispose una sempre maggiore compressione dei piedi: la donna faceva generalmente fatica a camminare e doveva appoggiarsi alle pareti, a un bastone o a un’altra persona. Pertanto il costume di fasciare i piedi, diffondendosi, cambiò anche significato. Divenne un comodo messo per esprimere e rafforzare il nuovo concetto di castità femminile che la Cina era venuta sviluppando nel corso del sec. XII. Una moglie casta doveva rimanere relegata in casa e non doveva farsi vedere nei campi e per la strada; e camminare con i piedi fasciati rendeva l’incedere penoso e difficile. Nello stesso tempo la fasciatura rivelava la condizione economica di una famiglia: un uomo che aveva una moglie con i piedi fasciati provava a tutti che egli era abbastanza ricco da mantenere una donna con i suoi guadagni e che non aveva bisogno d’aiuto nei campi o nel negozio. Conseguentemente i piedi grandi, propri dell’altro sesso, erano indice di appartenenza ad una classe sociale povera (4-5).

 

L’usanza di fasciare i piedi, vivido simbolo della soggezione della donna, sopravvisse a innumerevoli cambiamenti dinastici e fiorì per secoli. Il costume era parte integrante di una società patriarcale che inculcava nelle donne l’obbedienza, conformandole a un rigido articolato codice morale consacrato dagli anni e dalla tradizione. Una dama virtuosa accettava passivamente la sua condizione d’inferiorità intellettuale e rimaneva tagliata fuori dal mondo esterno. Le sue letture si limitavano al canone ortodosso, ed essa imparava soltanto a sbrigare le faccende domestiche e quelle poche attività collaterali che le erano concesse (1-2). La fasciatura rendeva molto più appariscente la differenza tra i due sessi. Si criticavano le donne che a-vevano piedi naturali che, non essendo piccoli, erano considerati poco femminili. A tali donne ci si rivolgeva con il sarcastico appellativo di Piede d’anatra e Barca di Loto. Opporsi alla fasciatura era cosa impensabile, significava ribellarsi alle tradizioni cinesi, che miravano a mantenere una netta divisione tra uomini e donne. Allo scopo di garantire la separazione dei sessi, dai sette anni in poi era fatto divieto alle bambine di intrattenersi con i maschietti. Si insegnava alle giovani signore di evitare perfino di discorrere con i cognati, poiché la qual cosa poteva essere interpretata come atto di sospetta intimità.


Bisognava seguire scrupolosamente quattro precetti (3):

1. Non camminare con le dita rivolte all’insù;
2. Non tenere con ostentazione i calcagni sospesi a mezz’aria;
3. Non muovere le vesti, una volta sedute;
4. Non muovere i piedi, una volta coricate.


Naturalmente era considerato altamente encomiabile che una donna si sottoponesse fin dalla prima infanzia al temuto dolore della fasciatura dei piedi con stoica rassegnazione e che trattenesse le lacrime per compiacere alla madre e conformarsi così ai canoni della bellezza sanzionati nei secoli. All’inizio della pratica, considerata motivo di esultanza, venivano fatte visite di congratulazioni da parte di amiche intime o parenti stretti. Queste visite formali avevano lo scopo di rassicurare i genitori, lodando la forma del piede della bambina. Il successo o il fallimento della fasciatura (fatta dalla madre stessa) dipendeva dall’abilità con cui veniva stretta la benda intorno a ciascun piede.

 

La fascia, larga circa cinque centimetri e lunga tre metri, si applicava in questa maniera: se ne fissava un capo alla parte interna del collo del piede, veniva quindi fatta passare con forza sulle dita, a eccezione dell’alluce, in modo da ripiegarle sotto la pianta del piede. L’alluce non veniva fasciato. Si passava poi strettamente la benda intorno al calcagno in modo che tallone e dita fossero ravvicinati il più possibile. Si ripeteva quindi il procedimento fino a totale utilizzazione della fascia. Il piede delle fanciulle era soggetto a una forzata e continua pressione: lo scopo infatti non era solo quello di comprimere il piede, ma anche di curvare le dita, di ripiegarle sotto la pianta e di riavvicinare la pianta stessa al tallone fino al limite del possibile. Adele M. Fielde, una missionaria vissuta, verso la fine dell’ 800, per circa dieci anni a Shantou, raccontava che "Durante il processo la carne andava spesso in putrefazione, parti della pianta si squamavano e a volte cadevano una o più dita. Il dolore persisteva per circa un anno e quindi diminuiva d’intensità, finché, verso la fine del secondo anno, i piedi perdevano ogni sensibilità e risultavano praticamente morti".

 

Alla donna cinese dell’età imperiale si insegnava l’amore per la castità e il "loto d’oro" - cioè il piede piccolo - fu considerato un possesso esclusivo del marito. Perfino i parenti stretti evitavano di guardare i piedi rimpiccioliti; la loro manipolazione da parte dell’uomo era considerata un atto di grande intimità. La donna di buona educazione provava grande imbarazzo e vergogna - che poteva condurla sino al suicidio - quando ad accarezzarle il piede o a toglierle la scarpa era una persona diversa dal marito (6).

 

Nei tempi antichi, quando era una pratica largamente diffusa e non osteggiata, la fasciatura dei piedi ebbe i suoi accaniti sostenitori, veri e propri amanti del loto d’oro. Tra di essi spiccava un aristocratico di nome Fang Xun - probabilmente uno pseudonimo - che, autonominatosi "dottore del loto fragrante", con esaltati slanci lirici elencò le componenti estetiche necessarie perché il piede rimpicciolito fosse degno di lode, riportò alcuni commenti critici e analizzò i giochi del bere per la cui esecuzione erano indispensabili le scarpine (3). Seguendo l’ordine sistematico di un’opera botanica, fece la "Classificazione delle qualità dei loti fragranti" dove enumerò 58 varietà di loti umani, incluse nella classificazione sia i piedi ben fasciati e splendidamente dotati come pure quelli brutti e disgustosi a vedersi. "Petalo di loto", "Luna nuova", "Arco armonioso", "Virgulto di bambù" e "Castagna d’acqua" erano i termini eufonici dati ai modelli principali. Rotondità, morbidezza ed eleganza erano le tre qualità più rare del piede; un piede gracile, infatti, raffreddava la passione di chi lo guardava, uno troppo robusto comprometteva la femminilità e, per un piede che fosse volgare, nessuna medicina avrebbe potuto togliere questo difetto. La rotondità e la morbidezza potevano venire apprezzate con gli occhi, ma l’eleganza era una qualità che solo l’intelletto poteva intendere. Inoltre fissò nove categorie di bellezza, che comparò ufficialmente alle nove classi in cui era divisa la società cinese. Le prime tre erano: "Qualità divina", né grassa né magra ma di forma perfetta come l’antica bellezza Xi Shi (1) di sublimi sembianze. "Qualità meravigliosa", debole ed esile come un ramo di salice che pende in cerca di appoggio e che si piega alla brezza. "Qualità immortale", con ossa diritte e disarticolate, simile a chi viveva tra le montagne nutrendosi di cose selvatiche, pronta a fuggir via se cercavi di afferrarla. Gli altri sei gradi erano guastati da imperfezioni sempre più evidenti e gravi.

 

Vi era anche tutta una serie di termini per descrivere il piede, la scarpa e i suoi accessori. Si riteneva comunemente che il "loto d’oro" fosse lungo otto centimetri o meno, il "loto d’argento" da otto a dieci e il "loto di ferro" più di dieci. "Luna nuova" stava a indicare un piede fasciato, elegante, snello e affusolato racchiuso in calze di seta. "Giovane bambù di giada" esaltava il piede piccolo che era caldo, lucente e soffice come giada, e con la punta aguzza simile a un esile virgulto di bambù. Come era naturale, esistevano termini ironici coniati appositamente per le donne con i piedi grandi. La ragazza poteva essere schernita per i suoi piedi di carpa o di aringa, o essere chiamata "Demone dai piedi grandi" e alle sue scarpe si affibbiava a volte l’appellativo di "barche a cornacchia". Una giovane che aveva i piedi fasciati male poteva essere beffata come "Verde zenzero davanti, uovo d’oca dietro". Poesie e canti popolari biasimavano le donne con i piedi grandi.

 

A censore dei piedi naturali si ergeva, ancora una volta, Fang Xun. Ecco alcuni passi tratti dalla sua "Miscellanea del giardino d’oro" che sono, secondo chi scrive, rappresentativi della mentalità cinese dell’epoca e di quanto la pratica della fasciatura avesse influenzato la psicologia sessuale dei cinesi (1,5-6):


Sarcasmo: mandare all’inferno una donna con i piedi grandi fingendo di lodarla con il dire che le estremità dei suoi arti inferiori hanno lo stesso ridente aspetto di quello di Guanyin, dea dai piedi naturali.
Infanzia sciupata: bambina che non praticò con scrupolosità la fasciatura dei piedi e che ora, dato che nessuno apprezza i suoi piedi grandi, deve sposare un uomo povero e portare per tutta la vita scarpe di vimini e calze dozzinali.
Ridicolo: donna con i piedi grandi che critica una dama con i piedi piccoli, accusandola di esserseli stretti eccessivamente allo scopo di attirare il maschio.
La pazzia delle mie contemporanee: donne che per timore della fasciatura seguono la moda dei piedi naturali delle Manciù.
Vista poco piacevole: l’ancheggiare di una donna che ha i piedi grandi.
Causa di compassione: donna bella con piedi grandi.
Pensieri reconditi: fantasticare su chi abbia lasciato le piccole orme al bordo della strada.
Dolce diletto: sposare una donna che senti essere descritta come bella, levarle dapprima il velo nuziale e quindi prendere tra le mani i suoi delicati piedini.

Generalmente le fasce smesse venivano gettate tra i rifiuti. Ma vi fu un medico dello Hunan che prese ad usarle per curare alcuni malati con effetti, a suo dire, sorprendenti. Se la malattia era causata dalla presenza di spiriti maligni, per cacciarli bisognava avvolgere bende di giovani fanciulle intorno alla vita del paziente. Per abbassare la febbre si poggiava la vecchia scarpa d’una fanciulla con i piedi fasciati sopra l’ombelico del paziente. Quando la scarpa si riscaldava, la si sostituiva con un’altra; tale procedimento causava il lento decrescere della temperatura. Per far riprendere conoscenza, si bolliva dell’acqua e quindi, dopo averla fatta leggermente raffreddare si lavavano i piedini di una giovane e la si faceva quindi bere al paziente, che riprendeva immediatamente i sensi (7).

 

La pratica di fasciare i piedi raggiunse la massima diffusione verso la fine della dinastia Qing, ma già allora erano evidenti i segni della sua decadenza. Le frequenti disposizioni imperiali contro il costume era la riprova della loro inefficacia. Nel sec. XVII i conquistatori mancesi della Cina furono i primi a combattere l’usanza che aveva ormai raggiunto la sua piena fioritura e andarono orgogliosi dei piedi grandi e naturali delle loro donne, differenziandosi così dai conquistati. Verso la fine del sec. XVIII e l’inizio del XIX, molto prima che giungessero in Cina le idee occidentali di uguaglianza dei sessi, i leader cinesi cominciarono a combattere per i diritti femminili, e ben presto la lotta si orientò anche contro la fasciatura dei piedi. Il movimento abolizionista incominciò ad avere l’appoggio dei critici cinesi progressisti, dei missionari occidentali e delle loro mogli. Questi ultimi, però, più che combattere per l’uguaglianza delle donne, si scagliavano contro l’innaturalezza del costume (1).

 

Il primo passo verso l’abolizione della fasciatura dei piedi fu un decreto imperiale del 1902 in cui si caldeggiava il divieto di fasciare i piedi durante l’infanzia; era questo infatti il sistema più umano per sradicare tale costume (8). Ma l’infelicità e l’amarezza causate alle donne adulte dall’interruzione della pratica erano tali che le misure adottate non sortirono gli effetti sperati. Venne proposta la moderazione per far sì che la fasciatura giungesse al suo epilogo naturalmente, senza causare inutili sconvolgimenti sociali. La tendenza a divorziare dalle mogli con i piedi rimpiccioliti venne bollata come atto barbarico, indegno d’una società civile e responsabile. Nell’agosto del 1928, il ministro degli affari interni emanò un’ordinanza articolata in 16 paragrafi contro la fasciatura e ingiunse a tutte le prefetture di farla scrupolosamente rispettare. Certo è che le donne con i piedi fasciati che ebbero l’avventura di vivere nel periodo di transizione soffrirono doppiamente. Nella prima fanciullezza dovettero sopportare il dolore e il disagio della fasciatura, solo per sentirsi dire, nella maturità, che le loro sofferenze erano state vane, dati i nuovi dettami della rivoluzione e i cambiamenti dei gusti estetici. Le donne con i piedi piccoli cominciarono a essere guardate con disprezzo e si fece inoltre di tutto per metterle a disagio (9). In una città si proibì loro di frequentare i luoghi pubblici; in un’altra di camminare per le vie, in un’altra ancora venne sguinzagliata la polizia perché le rintracciasse e strappasse loro le fasce. In certi luoghi, la mancanza di moderazione portò a eccessi tali che le donne preferirono suicidarsi piuttosto che affrontare il pubblico dileggio o mandare in rovina i genitori, costringendoli a pagare pesanti multe (1,3,10). Per il rivoluzionario cinese, lo sradicamento della pratica della fasciatura dei piedi e l’emancipazione femminile avevano lo stesso senso. L’eliminazione del costume era un obiettivo importante, ma difficile da raggiungere dato che le donne, relegate nell’intimità dei boudoir rimanevano inavvicinabili. La riforma conobbe i suoi primi successi nelle città e nei grossi centri. Verso la fine degli anni Venti la pratica della fasciatura era ormai in fase calante; ma la concezione maschile conservatrice, che vedeva nella donna un essere inferiore e un passatempo, era rimasta sostanzialmente inalterata. La donna cinese dovette attendere la definitiva ascesa al potere di Mao, per essere considerata "la metà del cielo". Per lei però, visto che doveva "conquistarsela", la strada da percorrere era ancora tanta (2,6,8-10).
 


A cura di: Carlo Di Stanislao, Rosa Brotzu, Enrichetta Gallo
 


Referenze
1. Cannetta M., Damiani L.: Loto D’Oro: quando le donne non dovevano camminare, http://www.donneinviaggio.com/donne_mondo/piedini%20donne%20cinesi.htm, 2003.
2. Santangelo P.: Storia della cultura cinese, Ed. Newton & Compton, Roma, 1997.
3. AAVV: Passi di Salice. Storia de piede fasciato nella cultura cinese, Frammenti D’Oriente, 1998, 3: 10-15.
4. Grassini A.: Storie e leggende cinesi, Ed. Giunti, Firenze, 1994.
5. Sidel R.: Donne e bambini in Cina, Ed. Armando, Roma, 1975.
6. Sabbatini M., Santangelo P.: Storia della Cina, Ed. Laterza, Bari, 2003.
7. Edde G.: Meditazione e salute. Benessere del corpo e dello spirito secondo la medicina e le tradizioni cinesi, Ed. Il Punto D’Incontro, Milano, 2001.
8. Xin R.:La metà dimenticata, Ed. Hoepli, Milano, 1999.
9. Gernet J.: Il mondo cinese, Ed. Einaudi, Torino, 1978.
10. Li Y.: A marito geloso, moglie fedele, Ed. Meravigli, Vimercate, 1994.

Indirizzo per chiarimenti
Carlo Di Stanislao
E-mail: amsaaq@tin.it 
URL: www.agopuntura.org