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Avventure nel mondo

A cura di: Maurizio Doro

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Nuova avventura Naturaid: Speleologia nella grotta in Sardegna

Una grotta o una forra? Nel cuore del Supramonte, tra la vegetazione riarsa sul letto asciutto della Codula Orbisi, si aprono dei piccoli pozzetti poco profondi che permettono di accedere ad una delle grotte più suggestive della Sardegna.
La grotta Donini è in realtà una cavità ipogea dotata però di un ingresso ed una uscita a valle.

E’ tra le più belle grotte della Sardegna, praticamente una gola sotterranea, al suo interno le magnifiche rocce levigate ed una successione continua di laghetti trasparenti, presenti anche in estate, l’hanno portata tra le top-ten delle forre regionali. Dal punto di vista carsico altro non è che un livello più giovane della Codula Orbisi che risorge in parete con la cascata nota con il toponimo di Su Cunn’e s’Ebba.

Sviluppo 1,5 km
Dislivello negativo 200 m
Tempo di percorrenza 3,30 ore

“Ciao Mauri, hai voglia di venire a fare speologia e scendere in una grotta in Supramonte? Siamo un gruppo di amici…. serve una pila stagna, una muta per l’acqua ghiacciata, un imbrago con moschettoni…. le corde le porto io”.

Così il mio amico Sergio Soro (famoso esploratore estremo, vedi sito www.mauriziodoro.it interviste) mi invita per questa nuova esplorazione.
Detto fatto, preparo il materiale,  prendo la mia inseparabile tendina, sacco a pelo e il sabato pomeriggio ci mettiamo in viaggio, siamo in macchina sulla S131 per raggiungere Dorgali e la zona di Ursulei.
Una zona selvaggia del Gennargento.

C’è anche Donatella, una sportiva appassionata di avventura e grande nuotatrice.
Sulla strada incontriamo Ignazio e Pino, faccio la loro conoscenza e si dimostrano subito molto disponibili, loro si sono occupati della logistica e ci prepareranno qualche cosa di speciale per la cena.
Proseguiamo insieme e io guardo lo spettacolo che si presenta dalla stradina a picco su un dirupo, sotto, piccolo, si vede il pittoresco paesino di Ursulei. Continuiamo e saliamo su un altipiano spoglio, a circa 900 m “Sedda er Baccas” (valle delle vacche) per poi inoltrarci su strade sterrate molto sconnesse, il paesaggio è magnifico nella sua arida semplicità. Entriamo in un bosco di lecci e la pista sterrata ci porta ad un vecchio ovile, ci sono ancora le costruzioni e gocciolatoi, segno della presenza viva di qualche pastore che ha vissuto in questa zona impervia.
Il luogo è piano e privo di sassi, ci accampiamo e raccogliamo della legna secca nel bosco per preparare un gran fuoco.
Dalla macchina escono tavolini sedie e tutto un ben di dio, formaggio caprino, pane, salame e specialità sarde, naturalmente non manca il “Cannonau” il famosissimo vino sardo di alta gradazione.
Ma la specialità è la carne di Ignazio: polpa di maiale che ha messo precedentemente a macerare nel vino e nell’aceto. Succulenti blocchi magri infilati sapientemente da lui in un ramo spellato.
Mentre noi comodi a tavola incominciamo ad assaggiare, Ignazio gira sul fuoco questa carne e quando si avvicina e la taglia sulla tavola con il tipico coltello sardo affilatissimo, il profumo di arrosto fa sgranare gli occhi e aumentare l’acquolina.
Cala la sera ma noi chiacchierando ci gustiamo queste prelibatezze e ci facciamo accarezzare dall’aria fresca del bosco.
Una cena indimenticabile tra i monti della Sardegna centrale.
Ci siamo proprio goduti una magica nottata in Supramonte
L’indomani ci raggiunge il gruppo di speologi, con tutto il materiale tecnico.
Gente esperta e appassionata di montagna amante della natura selvaggia, Bastiano, Gianni, Maria Rosaria, Josef e la sua compagna.
Ci incamminiamo in fila indiana serpeggiando tra i massi, dapprima scendendo un ripido pendio e poi in una decina di minuti, camminando sui sassi e cespugli di un letto di un fiume in secca raggiungiamo l’ingresso della seminascosta grotta.
Davanti c’è Bastiano, esperto alpinista che conosce molto bene la zona e trova subito la piccola apertura tra i grandi sassi.
Non avrei mai immaginato che a 15 m sotto quella piccola apertura si nascondessero delle viscere così spettacolari.
Scendiamo a turno con le corde 2 pozzi iniziali, stiamo per affrontare il buio della grotta e le fredde acque del fiume carsico.
I primi scesi quasi non si vedono man mano che scendono e le luci delle pile sembrano essere inghiottite dalle tenebre, si cammina in una prima galleria stretta e bassa con numerose vaschette stalagmitiche piene di acqua trasparente per raggiungere il primo laghetto.
In un punto più largo e comodo ancora asciutti indossiamo le mute e le pile frontali, i più esperti hanno le attrezzature speleo con le lampade a carburo sulla testa che accendono con l’accendino incorporato sul casco.
Sono ancora le fiammelle, che sposano un connubio con le grotte a dare un sapore primitivo e antico e  ad essere le più sicure e collaudate in quest’era moderna.
Ignazio infaticabile e con grande entusiasmo ha portato la telecamera, filma in continuazione senza perdere i momenti più spettacolari anche se costa molta fatica aprire e chiudere il secchio ermetico che tiene fisso al suo imbraco tramite un moschettone.
Con le corde ci caliamo nel primo lago, l’acqua è molto profonda e non si tocca, è molto fredda ma non mi bagna il corpo perché ho una buona muta con calzari, solo le mani sono libere, patisco il freddo e quando nuoto ho formicolio alle dita.
Le pareti della grotta sono molto levigate e lucide a causa delle piene che si ripetono nel periodo invernale, ma in questo periodo il livello è ideale e la trasparenza è massima.
Nuotiamo e sguazziamo, io sono molto entusiasta e mi trovo bene con tutto il gruppo.
Ci sono passaggi con corde e calate tra gigantesche marmitte, è una meraviglia vedere questi sassi così levigati a lucido.
Una lunga processione di luci e fiammelle mi fa pensare a come è bello pensare che in questo preciso momento un gruppo sotto terra vive e cerca di scoprire chissà che cosa.
Qualche volta mi capita di rimanere indietro perché gioco come un bambino ed osservo tutto con curiosità, spengo anche la mia frontale e rimango in silenzio nel buio più assoluto ascoltando il rumore rimbombante dell’acqua che cade sulle rocce, nuoto nel buio ed ho la sensazione di essere risucchiato e volteggiare nello spazio senza sapere dove sto andando. E’ una grande sensazione capire che si è in vita su questo pianeta, ma nello stesso tempo, coscienti della propria vulnerabilità data dai nostri sentimenti e dalle debolezze umane
E’ una situazione che raramente si presenta nella vita quotidiana
E’ un continuo nuotare e superare piccole isolette di ghiaia, barriere calcaree che formano piscine e via a nuotare con difficoltà imbracati con moschettoni e zaino.
L’ultima parte è un procedere camminando e si intravede qualche grande tronco incastrato, sembra impossibile che sia arrivato sin li, ma le piene invernali hanno una portata e una violenza tale che anche i grossi tronchi non trovano scampo e vengono infilati come fuscelli nei più piccoli anfratti rocciosi.
L’ultima nuotata è da mozzafiato, man mano che si girano i vari costoni del canyon una luce più calda si intravede da prima sulle alte pareti poi man mano si affonda nell’acqua da renderla tra le sue ombre che si incrociano di un blu e verde smeraldo. E’ il sole che riesce a filtrare dalla nostra via d’uscita Ci troviamo davanti ad un gioco di colori che solamente l’elemento acqua combinato con la luce riesce a fare, sembra di trovarsi in qualche baia sul mare tra le rocce.
Un ultimo spettacolare salto di 3 m prima di aspettare il proprio turno e fare una lunga calata di 50 m per uscire dalle viscere di questa montagna arida, ma solamente in superficie e che nasconde un bene prezioso al suo interno. Alla base finalmente il sole ci riscalda subito e ci avvolge nel suo quasi insopportabile calore afoso.
Come lucertole riacquistiamo la nostra energia e in un’ora risaliamo e ritorniamo alle nostre macchine, dove ci salutiamo non prima di aver fatto una merenda all’ombra di grandi lecci ed essere stati presi di mira da una famiglia di maiali e maialetti attirati dall’odore del cibo che girano per il bosco indisturbati. Sicuramente cosa strana per me abituato invece a stare sui prati trentini dove pascolano le mucche.
Grazie a Sergio e a tutto il gruppo per questa bella esperienza.
Maurizio Doro

 


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