LOceano Artico si profila all’orizzonte...
Check Point n° 15, 11 luglio
Nella notte (si fa sempre per dire) sentivo il vento sbattere sulla mia
tenda e quando guardavo dalla piccola apertura vedevo il fiume correre
increspato, con le punte delle onde bianche di schiuma. Unico vantaggio quando
c’è vento è la completa assenza di zanzare. Quei piccolissimi e fastidiosi
mosquitos. Questa mattina me la prendo con comodo perchè c’è ancora vento.
Dovrà pur calare prima o poi. Spero. Parto alle 11:00. Non è una bella giornata.
Ma oramai sono abituato, dopo questi ultimi 20 giorni selvaggi.
Pagaio con fatica perchè il vento è contrario ed avanzo a circa 4-6 km orari.
Fortunatamente riesco a pilotare bene il kayak perchè è fornito di piccolo
timone posteriore che manovro con i piedi tramite pedaliere che tirano dei
piccoli cavi d’acciaio. Ogni volta che faccio un movimento di pagaia alzo
dell’acqua. Piccole gocce che, però, mi bagnano
continuamente nonostante una
copertura che chiude l’apertura del kayak. Il fiume è larghissimo e l’orizzonte
mi da l’impressione di non avanzare mai, o molto lentamente. Mi sento molto
vulnerabile e solamente le mie mappe, la rotta che ho creato e gli strumenti che
utilizzo mi danno la conferma che il mio gesto non è inutile, che avanzo verso
l’Oceano Artico, verso il Polo Nord.
Una piccolissima sagoma nera da qualche minuto si sta avvicinando. Ma non
capisco se sono io che mi muovo verso di lei o se è lei che mi viene incontro.
Non riesco a capire cosa sia. Sicuramente dalla distanza è qualcosa di molto
grande. Man mano che mi avvicino, o si avvicina, non riesco a capirlo ancora, la
figura nera cresce. Ora mi sembra di riconoscere una grossa barca, uno di quegli
zatteroni giganteschi. Non credo sia un motoscafo, non sento il rumore del
motore. E’ grandissimo. Mi sembrava fermo, ma ora vedo benissimo che sta
avanzando contro di me e molto velocemente, più di quello che sembrava.
Immediatamente abbandono il piacere della vista e dell’incontro con qualcuno,
sono spaventato e mi assale una grande preoccupazione. Se un motoscafo creava
onde al suo passaggio che erano una noia per il mio kayak figuriamoci questo.
Con il motore che avrà per spostare quella quantità di tonnellate di ferro,
chissà che onde farà. Comincio a pagaiare verso la riva e mi sembra di non
arrivare mai, mentre il barcone è velocissimo. I minuti passano. Ero troppo
lontano. Il mio sguardo continua a spostarsi dalla riva, allo zatterone,
all’acqua. Acqua, zatterone, riva. Sta passando parallelo a me e sento il suo
sordo motore molto potente. Vedo dietro di lui la massa d’acqua sollevarsi
diversi m, è spaventoso, per almeno 100-150m o forse più, si solleva un’onda
altissima che poi si allarga a V calando e frantumandosi sulla riva. Oramai sono
vicino alla riva, mi giro e pagaio forte in direzione perpendicolare alle onde.
Ne passo 3-4 poi la calma nuovamente. Il barcone è lontanissimo, ma vedo ancora
chiare le onde dietro. Se fossi rimasto a guardare quel pachiderma passare, mi
avrebbe scosso come un fuscello e sicuramente nessuno mi avrebbe aiutato anche
se, probabilmente, mi guardavano con il binocolo.
Alle 16:00 mi fermo su una piccola spiaggetta. Cerco di non fermarmi mai, se
possibile, perchè ogni volta devo scendere e mettere i piedi in acqua (il Kayak
tocca il fondo) e mi inzuppo tutto e poi mi ritocca fare la stessa cosa quando
lo spingo per ripartire e rimango tutto bagnato. E poi devo ricordarmi di tirare
su il timone con un sistema di corde perchè potrei rischiare di piegarlo o
romperlo. Ma ora sono proprio stanco perchè ho pagaiato contro vento e ho voglia
di camminare un po’ perchè mi fanno male i piedi e specialmente i talloni in
quella posizione. Sulla spiaggia impronte di orso, probabilmente grizzly perchè
sono veramente enormi. Ma me lo avevano detto che in questa area ci sono
moltissimi grizzly. Il tempo non migliora, ma per il momento non piove. Quando
riparto sono nella stessa condizione, piedi bagnati e scarponi infangati che
cominciano a sporcare sempre più il fondo del kayak. Pagaio ancora qualche ora
ma mi accorgo che non riesco a fare molti km. Faccio fatica ad avanzare. Alle
19:15 sono obbligato dal forte vento a cercarmi in extremis un picco posto, ma
sufficiente per la mia tenda. La riva fangosa fa uno scalino e per questa volta
non finisco in acqua ma riempio gli scarponi di fango. Non ho neanche voglia di
mangiare e butto giù solo frutta secca e qualche barretta. Il mio kayak sbatte
troppo sulla riva e lo trascino vicino alla tenda. Sono a circa 1,5 m dalla
riva. Metto il cibo il cibo lontano, e per fare questo mi arrampico sulla costa
e passo tra fango, rami secchi portati dalla corrente e radici di cespugli.
Porto anche il dentifricio e le salviette igieniche. E’ meglio tenere lontani
anche i profumi. Entro nella tenda con i pantaloni sporchi di fango. Ma il sacco
piuma mi fa caldo per la notte.
Mauri
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Check Point n° 25 , 12 luglio
Mi rendo conto che non posso sprecare troppe ore e devo assolutamente
sfruttare il bel tempo a qualsiasi altrimenti rischio di perdere il rientro in
Italia previsto per il 18 luglio. Dopo una gran colazione a base di pasta e
frutta secca, alle 04:00 sono già sul mio kayak rosso. Piove, ma il fiume è
calmo. Sono molto su di giri perchè le mie pagaiate rendono e la velocità
raggiunge i 7 km orari. Bene, se il tempo tiene, come vento intendo, oggi riesco
a fare molto. Spero. Intravedo tra le nuvole, colorate di rosso e giallo, il
sole, questo mi conforta e spero in un miglioramento. Fa freddo, circa 4 gradi,
ma senza vento mi sembra una buona temperatura.
Pagaio senza guanti. Ma senza
vento, sono preda di nuguli di zanzare. Sono proprio fastidiose. Continuo a
pagaiare sul fiume calmo, ora senza pioggia che oramai, però, mi ha inumidito
tutti i vestiti. Le ore passano, non me ne accorgo, ma sento dalla stanchezza e
dal dolore della posizione che sono tante. 8 ore, una giornata di lavoro. Ho
fatto tantissime cose. Ho mangiato, mi sono vestito, ho messo dei sacchetti di
cellophane ai piedi perchè sono bagnati e quasi non li sento più dal freddo, ho controllato le mappe, mi sono guardato intorno, ho fatto foto, e anche delle
riprese con la mia digitale che oramai funziona con il comando di altri tasti e
a furia di colpi sui fianchi. Prima o poi mi lascia in panne. Tutte queste
azioni le ho fatte con la massima attenzione, badando a non fare movimenti
bruschi e senza mai allentare lo sguardo sulla situazione di equilibrio, o
dimenticare dove mi trovo. Troppa sicurezza o confidenza in questo ambiente
possono essere fatali. Il sole ha preso posto nel cielo e mi assalgono un po’ di
sonno e brividi. Una vecchia baracca su una collina sembra un invito, mi chiama.
Ho già trascinato sulla riva il mio importante mezzo. Vado a vedere.
Non ci posso credere. E’ aperta e all’interno tutto è predisposto per
un’emergenza. Stufa, tavolo, vecchio divano. Ho bisogno di fermarmi e scaldarmi
un po’. Accendo subito la piccola stufa arrugginita. Poi scendo nuovamente al
kayak e mi accorgo di come fuori faccia freddo e tiri il vento, anche se poco.
Ho sempre i brividi. Prendo 3 buste di cibo più 2 di quelle recuperate alla
vecchia
cabina - ho una gran fame - la tanica dell’acqua, il termos, e il sacco piuma.
Sono infangato e bagnato, ma non me ne frega niente perchè so che per qualche
ora starò al caldo. Quando entro nella baracca, un caldo quasi fastidioso mi
avvolge e prende il posto delle zanzare. Ma poi quando mi libero dei vestiti e
me lo gusto tutto. Mentre la mia pentola piena d’acqua è sulla stufa, stendo il
sacco piuma e tutti i vestiti, rimango in maniche corte e mutande. Gli
scarponcini li metto su uno scaffale vicino.
La temperatura interna ha raggiunto i 24 gradi in un attimo e dopo aver mangiato
mi butto sul divano con il sacco piuma aperto e mi addormento subito. Quando mi
sveglio, 2 ore dopo, quasi sudo dal caldo, ho messo molta legna, e tutti i miei
vestiti sono asciutti.
Che bello indossare vestiti caldi. Sono ancora intorpidito che già mi metto a
pagaiare, ora c’e il sole e la temperatura è di 12 gradi. Il paesaggio intorno è
al contempo spaventoso e meraviglioso nel suo grandissimo silenzio. A volte mi
fermo completamente e mi accorgo di come mi fa compagnia il rumore della pagaia
che entra ed esce dall’acqua, e lo sfrigolio del materiale che indosso. Stare
fermi in mezzo per qualche minuto mi affascina e mi fa tantissima paura allo
stesso tempo. E’ solamente una questione mentale perchè in questa situazione ci
sono in ogni caso. Nessuno mi può aiutare. Potrei cedere e abbandonarmi in
qualsiasi istante allo sconforto più grande. Questa situazione mi da adrenalina
e mi obbliga a un continuo controllo di me stesso. Ora che ci sono lunghissime
spiagge non so decidermi a fermarmi, ma alle 19:00 la stanchezza mi dice che è
ora. Dopo aver messo la tenda un po’ in pendenza mi infilo nel sacco piuma
asciutto, mangio qualche barretta e dormo subito. Buona notte.
Mauri
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Check Point n° 41, 14 luglio
Sono partito alle 8 di mattina del 13 luglio e ancora una volta il tempo non
era buono. Anzi, era proprio nero e c’era pure vento. Mi ero svegliato alcune
volte perchè volevo partire presto, ogni volta vedevo brutto con pioggia che
batteva sulla mia tendina. Ma ora mi decido, devo andare, non posso
assolutamente perdere tempo. I giorni passano. Sono coperto bene e la
temperatura è di 10°. So che oggi arriverò sull’Oceano Artico e questo mi mette
un po’ di agitazione. Soffia vento di traverso che mi bagna solo la parte
destra. Ma in testa ho la mia magica linea sull’oceano. Ora il fiume si è fatto
ancora più largo ed io sto ancora più vicino alla costa, è la mia unica salvezza
in caso di necessità. Spesso però devo allontanarmi perchè il fondo è basso e
improvvisamente il kayak mi avverte con uno sfregolio che mi fa irrigidire dallo
spavento, ma oramai mi sono quasi abituato, è già successo diverse volte. Allora
testo il fondo con la pagaia e mi accorgo che è anche fangoso, non so se
riuscirei a camminarci. Meglio non provarci, l’acqua è anche fredda.
La costa è pianeggiante; non vedo ma so che ci sono centinaia di laghetti e
paludi che si sono formate dopo il disgelo, le vedo solamente quando mi fermo e
risalgo a piedi la riva; allora il paesaggio diventa infinito, un deserto di
tundra. La spiaggia si fa lunga e piena di grossi tronchi portati dal fiume, è
uno spettacolo anche questo. Vento di traverso, pioggia a tratti, onde più o
meno lunghe, pagaio di forza. Troppe 4 ore in queste condizioni, sono costretto
a fermarmi su una grande spiaggia, ma ci arrivo comodamente a mezzogiorno.
Subito noto delle impronte di orso, normale, continuano su tutta la spiaggia. Ha
fatto la sua passeggiata. In un primo momento voglio andar via, non mi sento
sicuro. Ma dove? 100m, 1Km, 10Km, è la stessa cosa. Ho sempre preso le giuste
precauzioni. Ora cosa cambia? Ho forse paura? Di arrivare in fretta? Sta calando
la mia attenzione? La comodità e la mia mansarda sono altrove, lontane, questo
luogo può offrirmi solo questo. Le mie scelte non sono ancora finite. Ho ancora
una grande responsabilità di me stesso e mi devo rispettare. Comincio a pensare
di fermarmi qualche ora, perciò devo montare la tenda, riparare la mia roba e
mettere il più lontano possibile e sottovento il cibo. Lo metto su una
ripidissima costa fatta di sabbia, mi arrampico e scavo una buca. Le impronte mi
seguono. Si è alzato un forte vento e ne approfitto per stendere la mia roba
bagnata che si asciuga molto velocemente. Dietro un grosso tronco raccolgo della
legna e accendo un bel fuoco, poi mangio le ultime scorte di buste e mi riparo
nella tenda. Non so quante ore dovrò rimanere, ma sono molto preoccupato:
pensavo di arrivare a Tuktoyaktuk nel pomeriggio tardi e invece mi ritrovo
ancora fermo. Non mi resta altro che dormire per provare a muovermi questa
notte.
Alle 20:00 riparto, la temperatura è molto bassa, 1 grado, mi copro molto e
mi infilo come al solito i sacchetti di nailon ai piedi, metto i guanti e per
non bagnarli, metto anche alle mani dei sacchetti più piccoli. E’ qualche giorno
che ho perso sensibilità alle mani che, tra l’altro, mi fanno male. La canoa e
la bici hanno dato il loro contributo. Fa proprio freddo e anche se pagaio non
mi scaldo, ma con il passar delle ore le nuvole se ne vanno e un striscia di
azzurro cresce all’orizzonte. Sono felice. Sono sul delta di questo grande fiume
e avanti a me c’è l’Oceano Artico. Non avevo mai pensato di vivere questa
avventura, neanche da piccolo, non era nei miei sogni. E’ una cosa nata
all’improvviso, dopo che sono stato in Canada l’inverno del 2004. Mi sono
sentito vivo tra gli indiani e volevo andare da loro, nella loro terra più
difficile e pericolosa, il Grande Nord. Ora ci sono io e vengo accolto. Il delta
del Mackenzi è come una grande mano che mi spinge verso questo grande orizzonte
blu scuro. L’azzurro del cielo è sopra la mia testa e il sole ancora alto alla
mia sinistra. Il vento è calato ed è diventato un soffio leggero, non più onde
ma solo un tremolio sull’acqua piatta, quasi olio, sembra un grande regalo dopo
giorni di fatica e tensione.
Alcune grandissime boe rosse e giganti tabelle arancioni indicano la rotta
per l’Oceano e l’imbocco nel canale migliore del fiume. Io costeggio il più
vicino possibile la riva e faccio anche tutte le baie. Preferisco così, anche se
faccio km in più. Non posso assolutamente rilassarmi ora, ho rischiato qualche
volta per tagliare, ma mi sono accorto che ero troppo lontano e non avevo nessun
margine di sicurezza, tutto era in mano alla fortuna. Da una riva all’altra
impiegavo decine di minuti e qui le condizioni cambiano in pochi minuti anche se
il tempo sembra bellissimo. Poi ho anche paura delle balene, in questo periodo
in questa area ce ne sono moltissime e vengono cacciate, potrebbero avvicinarsi
al kayak e crearmi seri problemi. Io però non ne ho mai viste.
Sono le 4 di mattina e il sole non è mai sceso sotto l’orizzonte di questo
cielo senza neanche una nuvola. Una linea che separa l’azzurro dal blu scuro,
una palla arancio sospesa, e un kayak che passa... e dentro ci sono proprio io.
Uno spettacolo unico che non ho mai visto ne sognato. Mi fermo spesso, smetto di
pagaiare e mi lascio trasportare, giro in tondo come in una danza. Mi pervade
una inebriante sensazione di infinita libertà. E io guardo ovunque. Devo sempre
stare però molto attento a non rilassarmi e ondeggiare. Tutto è piatto e
infinito intorno a me, solamente alcune colline chiamate Pingo si elevano. E
sono proprio delle mezzelune disegnate, sono formate da ghiaccio interno molto
vecchio, ricoperte di terra, erba e muschio una rarità della natura. Esco
dall’ennesima baia ed ho il sole in fronte, arancione, che si riflette
sull’acqua. Pagaio infreddolito verso le sagome nere di costruzioni. Ma sono già
arrivato a Tuktoyaktuk? Ero talmente assente e non mi sono accorto che gli
ultimi 8 km sono volati tra le baie. Le costruzioni sono sempre più vicine,
sento alcuni cani abbaiare e bambini giocare.
Sono le 8:00 del 14 luglio, io arrivo e il villaggio si sta svegliando.
Qualcuno mi viene incontro sulla riva e mi aiuta. Chiamano quelli del porto e mi
caricano il kayak che fra qualche giorno riporteranno a Inuvik. Un pescatore di
balene si avvicina, è indiano e mi offre un pezzo di carne nera, è di balena,
affumicata: è il suo benvenuto. Si complimentano con me dopo che ho raccontato
la mia avventura. Quasi 2000 km in 23 giorni con 2 giorni di riposo, dicono che
sono andato veramente forte, ma io quasi non li ascolto, sono ancora rapito
dalle sensazioni delle ultime ore.
Ora ho capito: qui al nord, non sono io a decidere cosa fare in questa giornata,
ma è il giorno che decide cosa io dovrò fare.
Mauri
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