Impressioni e commenti di Michele Degasperi, vincitore del I Naturaid Marocco
Tutto ha avuto inizio da una mia constatazione, per altro condivisa da molti.
Viviamo sempre più in una società dove si fa a gara per essere tutti omologati: stesse idee, stesso stile di vita, simili obiettivi personali. Rispetto a questo
stato la mia educazione e una particolare indole mi hanno da tempo spinto a
rimanere fuori dal “gruppo”, anche se, tengo a precisare, la compagnia e
l’amicizia rimangono in cima alla scala dei miei valori.
Durante i primi mesi dell’anno decisi, anche spinto da una esperienza di lavoro
che stava per arrivare al termine, che era venuto il momento di cambiare.
"Cambiare"... parola molto difficile, per certe persone può non dire nulla, per
tante altre è la normalità; per me significa, sopra ogni altra cosa, più tempo
da dedicare alla mia passione, la bicicletta. Dedicarmi a qualcosa di diverso
dal solito, seguendo con più libertà quella che da tanto - e ora più che mai - è
la mia “personale medicina” che sostiene il fisico e soprattutto la mente, la
ricerca del limite unita all’agonismo.
Ecco
perché quando il mio amico, Maurizio Doro, al temine della 24 ore, mi mise la
classica “pulce nell’orecchio” raccontandomi l’idea di una competizione in
Marocco, non passò giorno che non ci pensassi. Avevo già letto di questo evento,
il Natur Raid, in Internet, anche se a quel tempo ben poco era definito.
Incominciai a macinare km su km, mediamente 100-130 al giorno, in compagnia del
mio amico Ivan, arrivando difatti quasi per caso all’appuntamento della 24 ore
con una gamba strepitosa. A questa competizione, unica per le sue
caratteristiche - 24 ore in solitaria - sentii fin dalle prime pedalate che la
condizione c’era e mi consentiva d’impostare un ritmo sostenuto, tanto che dopo
poche ore mi trovavo al comando della competizione con diversi giri di
vantaggio. L’adrenalina cresceva con il passare delle ore e non mi faceva
sentire la fatica; il pubblico, gli amici e la grande festa mi davano una marcia
in più, ma purtroppo non avevo fatto i conti con un nemico che non avevo
previsto, il sonno. Al termine della gara avevo macinato molta strada, consumato
tanta energia fisica, ma il limite, quello mentale, non l’avevo raggiunto e
questo mi lasciava un senso di amara sconfitta nel cuore. Tutto mi era sembrato
impegnativo, ma non veramente difficile, tanti, per me troppi elementi di
contorno a supporto dell’atleta, un circuito perfettamente organizzato e
illuminato, la gente intorno che da sicurezza, la consolazione di potermi
fermare in qualsiasi momento senza pericolo alcuno.
Quando Maurizio Doro mi mostrò il programma del Natur Raid capii subito che
avrebbe potuto rappresentare un’impresa ideale rispetto alle mie aspettative e
vicina alle avventure vissute in giro per il mondo negli anni precedenti. Sono
partito più volte per il Nepal e l’India, realizzando vari trekking in
solitaria. Ho potuto rimanere a lungo in quei posti così diversi dalle nostre
città, essenziali, crudi e così intatti malgrado il turismo commerciale. Ciò che
più ricordo sono gli incontri fatti durante quei viaggi, un lungo periodo
trascorso con i Ladaki, un popolo tibetano che mi ha insegnato a guardarmi
dentro a vedere ciò che la vita ci propone con il giusto disincanto, sfruttando
le risorse della mente che sono infinite e sopravvivendo con ciò che realmente è
essenziale, un po’ di cibo e acqua.
Nel
leggere il programma di gara già immaginavo quali avrebbero potuto essere alcune
difficoltà che sapevo di poter superare. Mi riferisco, ad esempio, al buio della
notte che tante volte avevo già incontrato; spesso, durante l’inverno, con gli
sci risalgo i pendii della Paganella, montagna storica che si affaccia sulla
valle dell’Adige. A volte da solo, a volte con qualche altro pazzo che con me
condivide la salita e la veloce discesa, alle tre di mattina siamo già alla
partenza per poi alle sei essere sul lavoro con tanta stanchezza ma la gioia
dentro… Se il buio poteva rappresentare un nemico conosciuto, altre difficoltà
si prospettavano come nuove esperienze. Sapersi orientare in un percorso mai
visto prima, con l’aggiunta di tante incognite... quale alimentazione, quale
abbigliamento, quale mezzo?
Risolsi repentinamente la questione del mezzo migliore per affrontare questa
sfida - non potevo permettermi di affaticare troppo la schiena - e, consigliato
da un amico, scelsi una mtb bi-ammortizzata, certo limitante dal punto di vista
del peso, ma molto confortevole sulle pietraie che mi avrebbero potuto
facilmente sfiancare.
Cosa mangiare? Quattrocentosettantacinque km possono essere pochi se affrontati
in macchina, ma in bici? Tutt’altra cosa, ci vuole tanto carburante, così già
dieci giorni prima della partenza iniziai una dieta esclusivamente a base di
proteine... con il risultato di non riuscire fin dai primi giorni a pedalare e
fare qualsiasi altra attività fisica! Decisi allora di ricominciare a mangiare
di tutto - beata pasta! - e con il supporto del mio grande amico Armando Defant,
cercai di fare una stima precisa di quanto avrei consumato durante il tempo di
gara che mi ero prefissato, ovvero tre giorni. Il risultato fu di prevedere una
“dispensa di cibo” veramente limitata: 300 g di maltodestrine, 20 barrette, 150g
di proteine, magnesio e vitamine.
L’abbigliamento,
altra incognita non semplice, fu deciso tenendo conto soprattutto della grande
escursione termica che ci aspettava: 35 gradi durante il giorno e sino a -7
durante la notte. Il classico abbigliamento da ciclista non mi sembrava
sufficiente per il freddo previsto durante la notte e optai quindi per una
giacca in wind-stopper, maglia a maniche lunghe, gambali e guanti. Ma ora
sorgeva un altro quesito: dove mettere tutte queste cose? Per fortuna misi in un
cantuccio fin da subito l’idea di viaggiare senza zaino, alcune cose entrarono
quindi nel marsupio, altre nello zaino che mi avrebbe fatto da compagno fedele.
Ero dunque pronto per partire.
L’idea che avevo era che avrei trovato un paese con tanta miseria e non
particolarmente ricco dal punto di vista naturalistico. Tutto sbagliato, fin dal
mio arrivo a Marrakesh mi accoglie un paese veramente molto vivace dove povertà
e ricchezza coabitano, dove la sporcizia è molto meno che in una qualsiasi città
della nostra bella Italia e dove il traffico praticamente è paragonabile a
quello di un vecchio paese del Trentino. Ciò che da subito mi ha stordito sono i
colori e i profumi così forti e la particolarità di una civiltà in bilico tra
islam e occidente che ti accoglie con tanto calore da farti pensare quanto poco
conosciamo i paesi arabi e quanta informazione sbagliata circola nelle nostre tv
e giornali.
Appena giunti al nostro albergo iniziamo subito a montare le biciclette,
siamo un gruppo molto vario, c’è il dentista, il rappresentante, il dietologo e
tutti respiriamo un clima un po’ teso forse frutto di un’avventura così nuova ed
estrema, rispetto alla quale nessuno ha una conoscenza ben precisa. Ma in fondo
conosciamo tutti questa sensazione, è la tensione tipica del pre-gara che una
volta in sella svanisce e non lascia traccia. La partenza è rapida e sento
subito che la gamba gira bene, la fatica però la sento subito, a una bici così
carica e pesante non sono per niente abituato. Nei primi chilometri tutti
cercano
di stemperare la tensione chiacchierando e cercando in qualche maniera di
esorcizzare la fatica che ci aspetta. Sin dalla sera prima mi ero accorto che
tra i tre atleti, considerati più forti, che si conoscevano già da prima del
Natur Raid, l’amicizia e l’alleanza era forte, tanto da aver programmato di
pedalare assieme per più di metà gara. La mia attrezzatura tecnica - non dello
stesso livello qualitativo dei miei compagni - e la mancanza del GPS, oltre al
consiglio datomi dalle persone molto care, mi hanno convinto sin da subito che
l’unico modo per poter aspirare a vincere era imprimere sin dall’inizio un ritmo
sostenuto, in maniera da raggiungere già al termine della prima giornata il
duecentottantacinquesimo chilometro. Arrivare di sera a quel punto voleva dire
non dover affrontare tutta la notte in montagna, cosa molto importante tenuto
conto che la temperatura prevista era sicuramente sotto lo zero. Inoltre,
raggiungere il check point posto al km 285... voleva dire aver superato la
maggior parte del dislivello complessivo del percorso di gara!
"Sarò in grado di farcela", mi dicevo; confidando in un po’ di fortuna
e visto che la condizione fisica c’era, ho deciso che valeva la pena rischiare
il tutto per tutto. Sì, rischiare, visto che tutti quelli che mi erano stati
vicini nei giorni precedenti si erano raccomandati di partire piano, di
osservare gli altri e poi, eventualmente, nel finale spremere la gamba fino in
fondo. Ma naturalmente, come sempre, ho voluto fare di testa mia, supportato
dall’entusiasmo di aver guadagnato fin da subito alcuni minuti di vantaggio.
Così sono partito in solitaria e più andavo avanti e più ero convinto di
potercela fare... e poi l’ambiente naturale che stava davanti a me certo non
richiedeva compagnia umana per farti sentire bene. Con il procedere sullo
sterrato pietroso del tracciato il paesaggio diventava selvaggio, la luce
cambiava e di conseguenza i colori delle montagne che mi stavano intorno... una
meraviglia per i miei occhi. Spesso ho incontrato villaggi e piccoli agglomerati
di case, la gente che ci abita era entusiasta nel vedermi arrivare e usciva in
strada per darmi supporto, forse incuriositi per una cosa che certo non capita
spesso di vedere. La festa e la curiosità che suscitavo nella gente in tanti
momenti mi ha spinto oltre la fatica, lasciandomi dentro una grande serenità
difficile da descrivere.
L’unica fonte di stress era dovuta alla consapevolezza di avere tre persone
al mio inseguimento e presto avrebbero compreso che la mia non era solo una
sparata, una breve fuga e si sarebbero impegnati molto per raggiungermi. Mentre
pensavo queste cose, una scarica di adrenalina partiva dal
mio
cervello verso le gambe, una scarica che mi dava le forze per andare ancora più
forte. In poco tempo è arrivata la notte, la prima notte di gara, ma la luna
faceva così tanta luce che non serviva nemmeno la frontale per vedere il
tracciato e il silenzio era assoluto, sentivo solo il rumore delle ruote sulla
strada e il mio respiro affannoso. Forse questo particolare un momento è quello
che porterò con me più di ogni altro di questa meravigliosa esperienza: la prima
notte, il silenzio che solo in posti così lontani dalla civiltà moderna si
trova, il silenzio che non si racconta e il profilo delle montagne illuminate
dalla luna...
Il giorno successivo, arrivato al
traguardo non senza aver ringraziato dentro di me il deserto per avermi concesso
tanta ospitalità e tanta bellezza, venni accolto con grandi festeggiamenti da
parte degli organizzatori e simpatizzanti del primo Natura Raid del Marocco. Il
risultato contava, ma a differenza di tante altre competizioni questa volta per
me contava più di tutto ciò che sentivo dentro, la stretta comunione con un
luogo, le sue persone e la semplicità di tante amicizie che sono nate sul
percorso di una gara unica. Un grazie particolare a Maurizio, Fabrizio e Paolo
per l’ottima organizzazione offerta e la simpatia dimostrata in ogni momento. Un
abbraccio forte a tutti i miei compagni d’avventura perché nell’essenzialità di
confort di un’avventura nel deserto mi hanno offerto l’unica cosa veramente
vitale, l’amicizia.
A presto
Michele Degasperi
Un grazie per la
collaborazione a
www.naturaid.com
www.mauriziodoro.it
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