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L’architettura bioclimatica: dal desiderio del risparmio alla ricerca della felicità

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A cura di: Arch. Remigio Masobello

Nei momenti di crisi siamo costretti al cambiamento. Per alcuni può essere una occasione, per altri una disgrazia.
Le persone intelligenti approfittano di questa crisi perché la vedono come una opportunità per esplorare altre strade e vedere il mondo da nuovi punti di vista. Ne approfittano per rinnovarsi: ("con il sole veloce rinnovatevi, rinnovatevi con il sole e con ogni sole" - Confucio.).
Gli stupidi si incazzano. Per gli stupidi ogni cambiamento è un problema, non essendo attrezzati, proprio per la loro rigidità mentale, a vedere il mondo da altri punti di vista.

Nel 1973 la guerra del Kippur, con la conseguente crisi energetica, ci ha costretto a vedere il mondo da un altro punto di vista. Ci ha costretto a vedere quello che avremmo comunque dovuto vedere anche senza la crisi conseguente alla guerra. Una delle prime realtà che abbiamo dovuto considerare è quella relativa all’energia: un foglio di carta, i nostri vestiti, tutti gli oggetti che usiamo, gli elettrodomestici, la nostra casa, noi stessi: tutto questo è energia. Molte di queste cose hanno anche bisogno di energia per funzionare e tutte, dopo una vita più o meno lunga, devono essere gettate. Dove? La crisi energetica ci ha aperto gli occhi anche su tutta una problematica ecologica che incoscientemente davamo per risolta o non esistente o comunque pensavamo non fosse compito nostro prenderla in considerazione.
E’ appena il caso di ricordare che l’attività che consuma infinitamente più energia senza scopo è la guerra: sarebbe anche questo un buon motivo per non farle (a parte, ovviamente, le ragioni umanitarie).

I problemi energetici ci sono sempre stati, ma le società di un tempo non erano, come la nostra, energivore.
Per fare qualsiasi cosa si utilizzava una quantità di energia infinitamente più piccola ed in un tempo molto più lungo.
Cristoforo Colombo è arrivato in America consumando pochissima energia: è stato praticamente spinto dal vento. Però ha impiegato dei mesi.
Ora si va in America in poche ore ma ad un costo energetico altissimo. Inoltre oggi una gran quantità di persone può effettuare viaggi lunghissimi e quindi lo spreco energetico si moltiplica.
Quello che abbiamo detto per i viaggi potremmo ripeterlo per ogni manifestazione della vita: i vestiti, il cibo, i beni di consumo, le case, ecc.
Ogni cosa è più abbondante, siamo sollecitati dal 3 x 2. Forse non ce ne rendiamo conto ma vi è un’industria che prospera sul concetto dell’abbondanza, del grande numero, dell’accelerazione nell’acquisto, nel consumo e, ahimè, dello spreco. Si punta sul numero e non sulla qualità.
Tutta una filosofia in questo senso ci viene introiettata e la facciamo nostra anche senza rendercene conto.
Naturalmente questo spreco avviene senza ricordare che “nel sud del mondo” per essere ricchi sarebbe sufficiente avere la minima parte di quello che noi sprechiamo. 

Le problematiche aperte dalla crisi energetica, fra le altre cose, ci hanno ricordato che tutti i problemi (tutti gli aspetti) legati all’architettura, e quindi alla vita, formano un unicum collegato mentre noi, ignorantemente e presuntuosamente, pensavamo di fare gli architetti - artisti disinteressandoci di tutti gli altri aspetti supposti “meno nobili”. Alcuni esempi. I materiali architettonici ed il loro riciclo sono problemi che un tempo erano risolti bene, in modo ecologico, e con risultati figurativi spesse volte bellissimi: basta guardare le murature dei centri storici minori, tutte realizzate con materiali di recupero e quindi con interessanti risparmi energetici e senza gettare nulla nelle discariche.
Il microclima delle nostre abitazioni era considerato solo un problema impiantistico: era lasciato al termotecnico che interveniva dopo la progettazione eseguita dall’architetto. Il passaggio dei tubi e la localizzazione degli impianti era considerato un fastidio del quale sbarazzarsi al più presto cercando di minimizzarli, nasconderli ecc.
Il sole, il vento, l’umidità, la vegetazione, le preesistenze ambientali, i materiali locali ecc. erano variabili prese in considerazione solo in funzione estetica ma raramente come una occasione per farle interagire con l’architettura ottenendo risultati alcune volte strani e spesso addirittura imbarazzanti.

Torniamo alla guerra del Kippur: in quell’occasione il prezzo dei combustibili nel giro di una settimana quintuplicò ma, quel che è peggio, il gasolio per riscaldamento era quasi introvabile. Si doveva, in una parola, fare economia non solo per risparmiare ma anche per sopravvivere al freddo che incalzava.
Quelli che avevano la fortuna di abitare in case vecchie, quindi con canne fumarie in ogni stanza, con murature spesse in mattoni pieni e con altri accorgimenti che sembravano, solo poche settimane prima, ormai superati, potevano in qualche modo difendersi dal freddo e sopravvivere usando le stufe a legna (inutilizzate da anni). Quelli che abitavano in case "moderne", con struttura in calcestruzzo e tamponamenti leggeri, senza canne fumarie, si sono trovati al freddo e senza alcuna possibilità di riscaldarsi in modo alternativo. Per questi edifici, progettati spensieratamente sotto il segno del "gasolio facile" sarà, in seguito, coniato il termine di "edificio energivoro".

Il resto della storia è noto: in qualche modo l’inverno trascorse. Nelle domeniche senza automobili si riscoperse la bicicletta, le visite ai parenti ed amici vicini, le mangiate di castagne, le bevute di vino (anche questa è una fonte energetica alternativa) e, soprattutto, si scoperse il sole. Ai più attenti fra noi non era sfuggito che le case cosiddette "moderne" si erano dimostrate le meno idonee a superare la crisi energetica. E pensare che uno dei punti dell’architettura cosiddetta moderna era proprio quello di realizzare case calde e confortevoli!
A seguito di questi eventi noi architetti abbiamo guardato all’edilizia del passato con occhi nuovi per cercare i segreti del benessere ottenuto, oltre tutto, con mezzi tanto semplici!

Il paragone con l’edilizia del passato, tutto sommato più confortevole anche senza gli impianti tecnici sofisticati dell’edilizia moderna, ci ha aiutato ad immaginare le case progettate con le attenzioni con le quali erano progettate le case di un tempo. Abbiamo valorizzato specialmente il sole con le sue qualità che cambiano nelle ore e nelle stagioni.
Dovendo relazionarci con la variabilità del sole nel tempo, anche la nostra progettazione ha dovuto accettare un processo progettuale dinamico. Una piccola rivoluzione per molti di noi.
Abbiamo quindi apprezzato il sole che scalda ed abbiamo progettato case che oltre ad essere meglio isolate erano attrezzate a ricevere il sole nelle stagioni nelle quali era utile e, simmetricamente, ad evitarlo (con vari mezzi architettonici e non impiantistici) nei mesi estivi. 
Tutto questo si è potuto realizzare facilmente in quanto la posizione del sole in ogni istante dell’anno è nota.

Sembra quasi banale ma sono bastati questi accorgimenti per ottenere edifici molto più confortevoli, meno energivori e più ecologici perché meno inquinanti. Si era riscoperto il sole che scalda. Il risultato iniziale, dunque, era buono: si era risolto il primo più urgente problema collegato al riscaldamento. 
Il bello di questo riscaldamento non è tanto il fatto che non paghiamo la bolletta ma che, proprio per questa gratuità, dobbiamo essere grati, cioè dobbiamo in qualche modo ringraziare la natura (quindi avere un rapporto con Lei) e quindi riconoscerla: c’è. Il passo successivo, proprio perché esiste, è che dobbiamo capirla e rispettarla.
Successivamente si sono viste case che avendo come prioritario solo l’imperativo di catturate il sole si disinteressavano di altri problemi, apparentemente meno importanti e legati, più sottilmente, all’ambiente. 
Intanto, comunque, si era sviluppata una diversa sensibilità verso problematiche che solo pochi anni prima erano disattese.
Si sono valutate altre forme di energia, più sottile, meno visibile, ma interessante per il benessere degli abitanti. Abbiamo utilizzato materiali edili con caratteristiche particolari perché il muro diventava più complesso: non doveva solo sostenere, ma anche isolare, (è più economico conservare l’energia che produrla), accumulare calore ed inoltre non doveva rilasciare sostanze dannose per la salute.
Questa nuova complessità, per alcuni di noi, è stata un nuovo stimolo a studiare altri aspetti e trovare soluzioni intelligenti per fare le case confortevoli, belle e sane.

L’attenzione verso questi aspetti è stata determinante per acquisire una nuova sensibilità non solo verso la metodologia progettuale ma anche verso il mondo, un nuovo atteggiamento verso l’abitare tout court. E dal momento che “la via del fare è nell’essere” anche noi, come persone, abbiamo dovuto cambiare.
Vorrei sottolineare il fatto che “questa storia” non va vista solo come un sistema per risparmiare o fare le case più confortevoli 
(e non sarebbero, comunque, risultati disprezzabili) ma ci ha coinvolto emotivamente e spiritualmente come persone e poi come architetti. Questa è stata, dunque, l’avventura di alcuni di noi.

L’attenzione alle variazioni microclimatiche, anche minime, ci ha fatto riconsiderare la distribuzione interna della casa: ogni luogo aveva una sua vocazione ad essere cucina, soggiorno, riposo, stanza da lavoro, studio, serra, ecc. Ci siamo accorti che la luce non era più generica ed indifferenziata ma variabile, di diversa tonalità,(cioè con lunghezze d’onda diverse) e con caratteristiche particolari. Questa più sofisticata attenzione si è estesa anche ai materiali, alle forme, alla disposizione della vegetazione negli spazi aperti e all’interno dell’abitazione, alle pavimentazioni anche esterne ecc. Praticamente tutto il mondo progettuale è stato rivisitato con la nuova sensibilità acquisita. Molte certezze progettuali sono state rimosse, il dubbio ci ha fatto essere più sensibili e meno intransigenti, più possibilisti, più attenti alle piccole cose.

Nel corso dei nostri studi avevamo letto i vecchi trattatisti: Vitruvio, Alberti, Vignola, Palladio, Vasari, Scamozzi, Borromini, Milizia e ci eravamo effettivamente soffermati sul fatto che tutti davano molta importanza al dove e come costruire la casa in relazione alle energie naturali: sole e vento in particolare. Le opere di alcuni di questi trattatisti-architetti le conoscevamo bene e rimanevamo sorpresi della giustezza con la quale, ad esempio, le ville del Palladio erano inserite nella natura e dialogavano con gli elementi naturali. Purtroppo, però, la quotidianità della professione, la semplicità con la quale si potevano riscaldare le case con gli impianti tecnici ed il basso (troppo basso) prezzo dei combustibili fossili ci hanno fatto dimenticare le lezioni dei vecchi maestri.

Le qualità particolari dei vari ambienti naturali ed antropizzati sono state valutate e riprese nelle architetture senza tuttavia copiarle e quindi cadere nel folclore salottiero. Abbiamo imparato a vedere ed a fare nostra l’essenza più vera dell’ambiente: quella che si è sedimentata nei secoli per l’azione degli uomini, del clima, delle tradizioni, delle sventure, delle opportunità sopraggiunte, ecc. 
Si è, quindi, valorizzata la cultura locale fatta dagli uomini che, vivendo in un ambiente e studiandolo, hanno poi costruito case e forme la cui saggezza ci incanta. 
Conseguenza immediata di questa nuova attenzione verso l’ambiente è stata quella di fare le case diverse in relazione, appunto, alle diversità ambientali. Potrebbe sembrare una banalità ma la casa che funziona bene a Tarvisio non sarebbe funzionale (per tantissime ragioni) nella bassa pianura friulana, in Toscana o in Sicilia. Ogni ambiente ha, quindi, la sua edilizia. Per questi semplici principi non si dovrebbero più vedere i famosi “mostri architettonici”: costruzioni che, come oggetti, possono essere trasportati indifferentemente in qualsiasi posto. Con evidente “infelicità” per l’ambiente.

La prima connotazione del poeta è la territorialità” - Zanzotto. 

Anche la poesia, come è logico, è ben radicata nell’ambiente: leggendo le poesie di Lorca si respira l’Estremadura; Biagio Marin ci rende il rumore, l’odore del mare e delle conchiglie mentre in una delle vette della nostra poesia si canta la felicità legata all’amore per il sole, la luna, il vento, le stelle, la pioggia.

E’ irriverente pensare che Francesco sia un Santo bioclimatico?

Il patrimonio di preesistenze ambientali si è considerato patrimonio comune e le case progettate e costruite su questi principi si sono rivelate più vivibili e confortevoli. 
Evidentemente la vivibilità degli edifici è una qualità complessa che comunque comprende anche fattori che pochi anni prima non consideravamo.
Noi, ad esempio, sperimentiamo l’ambiente in cui viviamo attraverso la vista, l’odorato, il gusto , l’udito, il tatto e la nostra architettura, prendendo coscienza di questo fatto, deve necessariamente essere progettata in altro modo.
Vivibilità migliore, migliore vita, vita più felice. Siamo dunque partiti dal problema di riscaldare le case e siamo arrivati ad un mondo di nuove sensibilità, nuove attenzioni, nuova cultura che ci ha portato a considerare, appunto, anche la felicità degli uomini.
Non solo, quindi, il sole che ci scalda ma il sole che ci fa felici.
Gli utenti di queste case capiscono questi nuovi valori e si sentono più responsabili, più vicini alla natura, e in definitiva più felici perché più consapevoli.

Infine anche il progettista, capito il nuovo valore degli elementi naturali e locali e capito che la progettazione non può prescindere da ciò, si sente felice di aver trovato parametri certi entro cui progettare: le nuove case non saranno più inutili ricerche “estetiche” legate alla moda o all’estro dell’artista. Naturalmente queste case non saranno tutte uguali, ci sarà, comunque, spazio per l’inventiva di ogni progettista. Tutti, però, saranno attenti ad alcuni parametri progettuali inamovibili.


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